Il Tribunale di Treviso ha sperimentato la figura del coordinatore genitoriale per favorire l’esecuzione del provvedimento di affido del figlio minore

Con ordinanza del 4 agosto 2017, il Tribunale di Treviso, in presenza di due genitori in forte conflitto, ha delegato ad una psicologa la funzione di agevolare l’attuazione del piano genitoriale stabilito nella sentenza di separazione.
Questo “soggetto professionalmente qualificato”, pur non essendo espressamente definito  “coordinatore genitoriale” dai Giudici di Treviso, ben può essere considerato tale, tenuto conto che, nella esperienza italiana, esso è connotato da un elevato grado di disomogeneità (Angela La Spina, La coordinazione genitoriale quale tecnica di gestione del conflitto, in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 5/2018, pagg. 749 e ss).
La figura del coordinatore genitoriale, di recente elaborazione giurisprudenziale (Tribunale di Civitavecchia 20.05.2015, Tribunale di Reggio Emilia 11.06.2015, Tribunale di Milano 29.07.2016 e Tribunale di Mantova 05.05.2017), è mutuata dal modello americano sperimentato negli USA  a partire dai primi anni 90. Nel 2005, per uniformare le funzioni di questo esperto, la Association of family and Conciliation Courts ha elaborato una serie di linee guida, che gli operatori del diritto utilizzano anche in Italia “per meglio comprendere i presupposti e i meccanismi di funzionamento dell’istituto” al quale , tra l’altro, “è demandato il compito di prevenire, in ipotesi di conflittualità esasperata, un ricorso inutile e defatigante a ulteriori iniziative giudiziali in punto di responsabilità genitoriale” (Filippo Danovi, Il coordinatore genitoriale: una nuova risorsa nella crisi della famiglia, in Famiglia e diritto, 8-9/2017, pagg. 797 e ss.).

IL CASO
Il Tribunale di Treviso con sentenza n. 284/2017, definendo una procedura di separazione coniugale altamente conflittuale, affidava il figlio minore in via esclusiva al padre, ordinando la sua temporanea collocazione in comunità e demandando al Giudice Tutelare di monitorare, con cadenza bimestrale, l’andamento della situazione del minore.
Con istanza in data 7 aprile 2017 l’ULSS 2 informava il Tribunale che il ragazzino non era stato ancora trasferito in Comunità, continuando invece a convivere con la madre la quale “dimostrava di non voler adempiere alle statuizioni del Tribunale relative all’affidamento del minore”.

LA DECISIONE
Il Tribunale, preso atto della situazione e considerato “che è ragionevolmente ipotizzabile che continui la non fattiva collaborazione da parte della madre” ha ritenuto necessario individuare “…la figura di un soggetto professionalmente qualificato (in particolare uno psicologo) che nello specifico vigilerà sui trasferimenti del figlio minore nel momento della consegna dello stesso dalla madre al padre al fine di rendere meno traumatico, per la prole, tale momento, inizialmente trascorrendo anche del tempo con il nucleo padre-figlio con il compito di facilitare la comunicazione e l’iterazione tra gli stessi…”, affermando che “ …è invocabile nel caso di specie anche la previsione di cui all’art. 68 cod. proc. civ.  che stabilisce che, quando ne sorga la necessità, il giudice possa farsi assistere da esperti o in genere da persona idonea al compimento di atti che non è in grado di compiere. (n.d.r.: in tal senso Angela La Spina op. cit. pag. 753). La nomina di tale soggetto deve peraltro ritenersi rimessa alla valutazione del Giudice Tutelare…ex art. 337 cod. civ., ed il professionista verrà retribuito dai genitori, con liquidazione da effettuarsi dal Giudice tutelare….”.
Il Tribunale ha infine precisato che la nomina del coordinatore familiare, ai sensi dell’art. 9 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1995, resa esecutiva in Italia con la legge n. 77 del 20 marzo 2003, “…prescinde da un’istanza di parte…”, potendo essere lo stesso designato motu proprio, avuto riguardo al best interest del minore.

Nel caso di cui si discute l’intervento del coordinatore genitoriale, purtroppo, non è stato risolutivo, ed il genitore affidatario esclusivo è stato costretto ad adire, a più riprese, l’autorità giudiziaria per ottenere l’esecuzione coattiva dell’obbligo di trasferimento del minore in struttura.

Per completezza segnaliamo, con riferimento alla medesima vicenda processuale, la nota all’ordinanza del Tribunale di Treviso del 31 gennaio 2018.

 

 

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