La facoltà di astensione dalla deposizione per i prossimi congiunti si applica anche alle coppie di fatto

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Imperia ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice monocratico dello stesso Tribunale, con la quale gli imputati erano stati assolti dal reato di falsa testimonianza perché il fatto non sussiste.

Veniva contestato agli imputati di aver dichiarato il falso allorquando nel 2013 erano stati sentiti in qualità di testimoni nel corso del dibattimento celebrato nei confronti di un imputato accusato di violenza sessuale. I predetti avevano riferito che l’imputato era incapace di avere rapporti sessuali di tipo attivo, mentre nel corso del processo era emerso che il predetto aveva consumato con la vittima anche tale tipo di rapporti.

Nel corso della loro deposizione era, altresì, emerso che entrambi i dichiaranti avevano intrattenuto una relazione di tipo omosessuale con l’imputato predetto.

Il giudice monocratico era giunto ad una pronuncia assolutoria, applicando la fattispecie di cui all’art. 199 c.p.p., che prevede la facoltà di astensione dalla deposizione per i prossimi congiunti, cui andavano equiparati i conviventi more uxorio, anche omosessuali, e ciò anche prima della riforma della legge cd. Cirinnà 76/2016 sulle unioni civili.

Invero, non essendo stato dato ai due testimoni rituale avviso della facoltà ex art. 199 c.p.p. prima della deposizione, il delitto di cui all’art. 372 c.p. non era configurabile, sussistendo la causa di non punibilità prevista dall’art. 384, comma secondo c.p.

Il Procuratore Generale ha proposto ricorso per cassazione, evidenziando che la norma applicata per giungere ad una pronuncia assolutoria, ossia l’art. 199 c.p.p., è disposizione processuale e non penale sostanziale e quindi non può assumere alcuna valenza retroattiva.

Conseguentemente le disposizioni di cui al D.lgs. n. 6/2017, attuativo della legge sulle unioni civili, che hanno esteso l’applicabilità dei commi primo e secondo dell’art. 199 c.p.p. alle situazioni di convivenza derivante da unione civile tra persone dello stesso sesso, non possono trovare applicazione a fatti accaduti nell’anno 2013, allorché la legge sulle unioni civili non era vigente.      

La Suprema Corte, con la sentenza in commento (Cass. pen. n. 50993/2019), ha rigettato il ricorso per uno dei due imputati, mentre lo ha parzialmente accolto per l’altro.

La Corte, infatti, ha riconosciuto che il giudice monocratico avesse assolto gli imputati applicando la causa di non punibilità prevista dall’art. 384, comma secondo c.p. facendo applicazione del principio fissato dalle Sezioni Unite (SS.UU. n. 7208/2007), secondo cui “non integra il reato di falsa testimonianza la dichiarazione non veritiera resa da persona che non possa essere sentita come testimone o abbia facoltà di astenersi dal testimoniare, ma non ne sia stata avvertita, a nulla rilevando le finalità e i motivi che l’abbiano indotta a dichiarare il falso”.  

Quanto all’applicazione di tale principio alle coppie omosessuali prima dell’entrata in vigore della legge cd. Cirinnà, la Corte evidenzia che giurisprudenza consolidata aveva apprestato in via interpretativa tutela anche ad altre forme di unioni familiari, quali le convivenze di fatto, o altre unioni o comunità a prescindere dal rapporto di coniugio e non legate da vincolo giuridico.

La legge sulle unioni civili ha riconosciuto normativamente le famiglie omossessuali garantendo, nel solco della giurisprudenza costituzionale ed Europea, il diritto alla vita famigliare (art. 8 CEDU) e a vivere liberamente la propria condizione di vita di coppia (art. 2 Cost.).

Alla luce delle summenzionate considerazioni, la Corte ha concluso che ogni dichiarante, che sia persona convivente o che ha convissuto con l’imputato, deve essere destinatario dell’avviso di cui all’art. 199 c.p.p., tenuto conto che la causa di non punibilità prevista dall’art. 384, comma 2 c.p. costituisce norma di carattere sostanziale e non processuale. Le previsioni contenute nell’art. 2, comma primo, lett. a), del d.Lgs. 6/2017, riferite ai conviventi in forza di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, rappresentano una mera esplicazione di una interpretazione giurisprudenziale consolidata.

Tuttavia, la norma di garanzia relativa all’avviso della facoltà di astensione dei prossimi congiunti e, per quanto sopra detto, di tutte le persone conviventi, eterosessuali o omosessuali, si applica limitatamente ai fatti verificatisi ovvero appresi durante la convivenza.

Da ciò è conseguito, nel caso di specie, che, con riferimento al primo imputato, la Corte ha rigettato il ricorso, riconoscendo che la sentenza impugnata aveva adeguatamente argomentato sulla ricorrenza del rapporto di convivenza in relazione ai fatti sui quali l’imputato era chiamato a deporre.

Con riferimento al secondo imputato, viceversa, la Corte ha verificato che la sentenza impugnata risultava carente dal punto di vista motivazionale, quanto all’accertamento della sussistenza del rapporto di convivenza rispetto ai fatti riferiti dall’imputato.

Per questo motivo si è imposto l’accoglimento del ricorso del P.G., con conseguente annullamento della sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Genova, che dovrà accertare se i fatti riferiti dal dichiarante si siano verificati o siano stati appresi durante la convivenza con l’imputato.           

Con la sentenza in commento la Suprema Corte ha confermato che la norma di garanzia relativa all’avviso della facoltà di astensione dei prossimi congiunti si applica anche alle coppie di fatto, siano esse eterosessuali o omosessuali, ma ha anche ribadito che la causa di non punibilità prevista dall’art. 384, comma secondo c.p. si applica esclusivamente ai fatti verificatisi ovvero appresi durante la convivenza.

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