Nelle cause di divorzio pendenti il dictum di SS.UU. n. 18287/18 è “causa non imputabile” per la rimessione in termini delle parti (ex art. 153, 2 comma, c.p.c.)

Il Tribunale di Treviso, con articolata ordinanza in data 27 maggio 2019, ha considerato l’impatto processuale del mutamento giurisprudenziale, reso in sede di nomofilachia da SS.UU. n. 18287/18, nei procedimenti di divorzio pendenti ed in quelli di revisione ex art. 9 legge 898/70.

IL CASO
Nel corso della fase di trattazione di un procedimento per divorzio, parte resistente si costituiva in giudizio con il patrocinio di un nuovo difensore, chiedendo la rimessione in termini per la formulazione di nuove istanze istruttorie; a sostegno della propria richiesta adduceva la necessità di procedere ad un nuovo accertamento dei fatti posti a base della domanda, poiché il processo doveva essere definito sulla scorta del nuovo orientamento giurisprudenziale in materia di assegno divorzile introdotto dalla pronuncia delle SS.UU. n. 18287/18.
Richiamava quindi la recente sentenza della prima sezione della Corte di Cassazione n. 11178/19, che aveva esaminato il complesso problema delle conseguenze del mutamento giurisprudenziale sui procedimenti di divorzio non ancora definiti, prevedendo, nello specifico, “…la possibilità per le parti di essere rimesse nei poteri di allegazione e prove…”.

LA DECISIONE
I giudici di Treviso hanno condiviso i principi espressi nella richiamata sentenza n. 11178/19, ritenendo che tale decisione rappresenti “…un approdo equilibrato e volto, in funzione nomofilattica, ad informare a principi di equità sostanziale il panorama giurisprudenziale di merito successivo alla pronuncia delle Sezioni Unite in tema di assegno divorzile…” e che “…la corsa evoluzionistica che ha avuto l’art. 5 della legge divorzile negli ultimi ventiquattro mesi, … non può non avere una ricaduta su quei processi in corso, le cui istanze istruttorie … siano state improntate al precedente criterio … del “tenore di vita”, mentre oggi i fatti da allegare e da provare a fondamento della domanda del richiedente l’assegno risultano drasticamente diversi...”.

Ciò premesso, il Tribunale ha ritenuto che “…la piena garanzia del rispetto del diritto alla difesa deve passare necessariamente attraverso la lettura combinata delle norme di cui all’art. 177 c.p.c. e di cui all’art. 153, secondo comma, c.p.c…” precisando che “…per causa non imputabile deve intendersi un fattore estraneo alla volontà delle parti, del quale è necessario fornire la prova…” e che rientra in tale ambito pure un mutamento giurisprudenziale che determina “un affidamento incolpevole” nelle parti del processo (Cass. SS.UU. ord. 8127/11).

Pertanto, l’art. 153 c.p.c. “…deve essere applicato nell’ipotesi in cui un mutamento giurisprudenziale abbia reso impossibile una decisione sul merito …circostanza che è certamente avvenuta nel presente procedimento, essendo il nuovo orientamento legato all’allegazione ed alla prova di fatti radicalmente diversi da quelli giustamente allegati e oggetto di istanze probatorie in passato…”.

Conseguentemente, quando nei giudizi in corso non sono ancora state precisate le conclusioni “…la precedente ordinanza di ammissione delle istanze probatorie …dovrà essere revocata e andranno concessi …alle parti nuovi termini ex art. 183, comma sesto, c.p.c…”,  se invece, “…la causa si trovi in fase successiva alla precisazione delle conclusioni ma anteriore al deposito delle memorie conclusive di replica, deve ritenersi che, qualora la richiesta di rimessione in istruttoria per la concessione di nuovi termini …sia inserita nelle comparse conclusive, spetti al Collegio decidere se disporre con ordinanza ex art. 279, comma primo, c.p.c. la rimessione della causa nella fase di trattazione…”.

La rimessione in termini è soggetta all’istanza della parte e non può essere disposta d’ufficio dal magistrato.

Chiudendo il cerchio, “…non potrà essere avanzata alcuna pretesa con riferimento ad un procedimento sul quale sia già calato il sipario del giudicato…”.

Va ora affrontato il problema se le conclusioni raggiunte da Cass. n. 11178/19 possano essere applicate anche ai giudizi di revisione ex art. 9 legge 898/1970, per adeguare l’assegno divorzile alle mutate condizioni economiche delle parti, riguardo al quale gli Ermellini non hanno preso posizione, ma si sono limitati ad un accenno in motivazione.

Il Tribunale di Treviso con l’ordinanza che qui di annota, ha ritenuto che “…la disposizione di cui all’art. 9 legge 898/1970 debba continuare ad essere interpretata nel senso di ritenere che i “giustificati motivi” che consentono di accogliere la domanda debbano essere rappresentati dalla sopravvenienza di elementi fattuali (e non di semplici mutamenti giurisprudenziali) obiettivamente nuovi sorti in un momento successivo rispetto al provvedimento di cui si domanda la revisione … a conferma di tale indirizzo confortano le scarne parole sul punto della corte di legittimità laddove si parla … di mutate condizioni delle parti facendo intendere la necessità … di un legame con il mutamento di un presupposto fattuale ossia con il mutamento delle condizioni…”.

 

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