Nell'affidamento condiviso il diritto del genitore non collocatario può essere limitato ad un incontro settimanale

Con ordinanza n. 22219 del 12.09.2018, la Cassazione ha ribadito che la regola dell’affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori, sancita dall’art. 337 bis c.c., non esclude la possibilità che il minore sia collocato in modo prevalente presso uno di loro, prevedendo uno specifico regime di visita in favore dell’altro (conforme Cass. Civ. 1813/13).
Spetta al giudice del merito, tenuto conto del prioritario interesse del minore e valutate le peculiarità del caso concreto, stabilire le differenti modalità di frequentazione del figlio con l’altro genitore.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 16.11.2015, aveva confermato, nella sostanza, la sentenza del Tribunale che, pronunciando la separazione giudiziale dei coniugi, aveva rigettato la richiesta di addebito nei confronti della moglie e aveva disposto “…l’affidamento condiviso ad entrambi i genitori della figlia minore, con collocamento della stessa presso la madre…”, stabilendo che il padre potesse frequentare la figlia un solo giorno alla settimana.

Avverso tale decisione il padre aveva interposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra l’atro, che “i giudici del merito avrebbero applicato il regime di affido condiviso come se fosse un affido esclusivo, prevedendo la possibilità per la minore di vedere il padre per un solo giorno a settimana e ledendo così il suo diritto a ricevere cure, educazione e istruzione con paritaria presenza di entrambi i genitori…”.

La Corte, con il provvedimento che si annota, ha disatteso il motivo di impugnazione ed ha ribadito che “

la regola dell’affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori…non esclude che il minore sia collocato presso uno dei genitori e che sia stabilito uno specifico regime di visita con l’altro genitore

(Cass. n. 18131/2013). Attiene poi ai poteri del giudice di merito fornire una concerta regolazione del regime di visita…”.

La regolamentazione del regime di visita da parte del genitore non collocatario non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità, a meno che il giudice di merito abbia disciplinato le frequentazioni attenendosi a criteri diversi “…da quello fondamentale previsto…dall’art. 337 ter c.c., dell’esclusivo interesse morale e materiale dei figli…”.
Nel caso di specie, questo interesse era stato tenuto in debito conto dalla Corte d’Appello di Roma, che aveva stabilito le rigide modalità di visita del padre con l’obiettivo di “…sedare il continuo contrasto esistente tra i genitori ed evitare che la bambina fosse costretta a difendersi dai oro conflitti…”.

Il ricorrente, sotto altro profilo, aveva censurato la decisione della Corte distrettuale, per avere, a suo giudizio, erroneamente ritenuto che la concessione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c.  “…fosse facoltativa e discrezionale, in quanto i mezzi di prova dovevano essere articolati con il primo atto…evitando così di rimettere le parti in termini per l’esercizio delle attività deduttive e istruttorie non potute esercitare in primo grado…”.

Tale motivo di impugnazione è stato dichiarato inammissibile, poiché il ricorrente non aveva specificatamente contestato la “…ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata…”, soffermandosi esclusivamente “…sul fatto, rimasto estraneo alle ragioni offerte dalla corte distrettuale, che la concessione dei termini in questione non può intendersi come subordinata ad alcuna autorizzazione o valutazione da parte del giudice…”

Nello specifico, la Corte d’Appello di Roma si era richiamata alla consolidata giurisprudenza della Cassazione secondo la quale “…qualora venga dedotto il vizio della sentenza di primo grado per avere il Tribunale deciso la causa nel merito prima ancora che le parti avessero definito il thema decidendum ed il thema probandum, l’appellante che faccia valere questa nullità… deve specificare quale sarebbe stato il thema decidendum… ove fosse stata consentita la richiesta appendice di cui all’art. 183 c.p.c. comma 5 (ora comma 6), e quali prove sarebbero state formulate, poiché, in questo caso, il giudice d’appello è tenuto soltanto a rimettere le parti in termini per l’esercizio delle attività istruttorie non potute svolgere…(si vedano al riguardo Cass. n. 23162/2014 e 9169/2008)…”.

PIù in generale va osservato che “…il vizio non formale di attività discendente dalla mancata osservanza delle sequenze procedimentali… non rientra in una delle ipotesi previste dall’art. 354 c.p.c., e che la rimessione in termini può essere accordata solo laddove venga allegata l’esistenza di un pregiudizio concreto derivante da quella violazione (Cass. Civ. n. 9169/08)".

 

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