Una sentenza straniera in materia di responsabilità genitoriale pronunciata da un giudice diverso da quello dello Stato di residenza (o dimora) del minore non può essere riconosciuta in Italia se ...

Con la sentenza in commento, la Cassazione ha affrontato il problema del riconoscimento di una sentenza di un tribunale ucraino che aveva disposto il trasferimento di una minore, residente in Italia con il padre fin dalla nascita, presso la madre residente in Ucraina, con obbligo di consegna rivolto al padre.

La Corte d’Appello di Venezia ha riconosciuto la sentenza all’esito del procedimento giudiziale previsto dall’art. 67 della l. n. 218/95, che prevede la necessità di delibazione delle decisioni straniere (normalmente riconosciute in modo automatico) in caso di mancata ottemperanza, di contestazione, o quando vi è necessità di procedere ad esecuzione forzata.
Anche se la sentenza della Cassazione non lo precisa, probabilmente il ricorso al procedimento giudiziale si è reso necessario perché la sentenza ucraina richiedeva un’esecuzione forzata nella parte in cui prevedeva l’obbligo di riconsegna del bambino da parte del padre.

Il ricorrente ha fondato la sua azione sulle disposizioni in materia di riconoscimento delle decisioni straniere contenute nella l. n. 218/95.
Più precisamente, il padre del bambino ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello per una serie di motivi di cui rileva qui soltanto il primo, attinente alla violazione dell’art. 64, comma 1, lett. a), della l. n. 218/95, secondo il quale una sentenza straniera non può essere riconosciuta quando il giudice che l’ha pronunciata non era competente in base ai principi sulla competenza giurisdizionale corrispondenti a quelli vigenti nell’ordinamento italiano.
La disposizione in parola impone quindi di valutare i criteri di giurisdizione anche ai fini del riconoscimento delle decisioni: più precisamente, prevede una bilateralizzazione dei criteri di giurisdizione previsti dall’ordinamento italiano, per scongiurare i casi di giurisdizione esorbitante e assicurare che la fattispecie abbia con l’ordinamento del giudice straniero una connessione significativa.
La connessione con lo Stato estero che fonda la giurisdizione del giudice straniero è ritenuta significativa quando, se fosse localizzata in Italia (nella fattispecie: se la bambina, anziché ucraina residente in Italia fosse stata italiana residente in Ucraina), sarebbe sufficiente a radicare la competenza del giudice italiano.

La Cassazione ha ritenuto che le norme sulla giurisdizione in materia di responsabilità genitoriale e di protezione del minore da prendere in considerazione per valutare (ai fini del riconoscimento) se vi è la competenza del giudice straniero a decidere la causa ai sensi dell’art. 64 lett. a), l. n. 218/95, fossero quelle della Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 “sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione di minori, resa esecutiva con la L. 24 ottobre 1980, n. 742”.

La Convenzione dell’Aja del 1961, pur essendo ancora richiamata dall’art. 42 della l. n. 218/95 in materia di protezione dei minori, in realtà è stata sostituita da una successiva Convenzione dell’Aja del 18 ottobre 1996, concernente la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di protezione dei minori.
La Cassazione si è posta il problema relativo alla successione delle due Convenzioni dell’Aja nel tempo, dando atto che alla Convenzione del 1961 “è succeduta, anche nei rapporti reciproci, la Convenzione dell'Aja del 18 ottobre 1996, concernente la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, entrata in vigore in Italia il 1 gennaio 2016 secondo la L. 18 giugno 2015, n. 101 (ex art. 2, che richiama l'art. 61 par. 2 lett. a) della Convenzione) con la quale l'Italia ha proceduto alla ratifica e all'esecuzione dello strumento convenzionale.
Il rapporto in esame, tuttavia, resta disciplinato dalla Convenzione dell'Aja nel testo originario dal momento che, la modifica introdotta con la successiva convenzione del 18.10.1996, ancorché applicabile in Ucraina dal 1° febbraio 2008, è entrata in vigore in Italia, come già rilevato, solo successivamente all'instaurazione del giudizio volto al riconoscimento della pronuncia estera, conclusosi con ordinanza del 22 giugno 2015.”
Quindi, la Cassazione ha ritenuto che, all’epoca in cui si è svolto il giudizio sull’exequatur, fosse applicabile in Italia la Convenzione dell’Aja del 1961, ma non quella del 1996.
Il che è esatto.
Tuttavia, la Cassazione ha trascurato di considerare che, prima della Convenzione dell’Aja del 1961, doveva venire in considerazione, per quanto riguarda le norme sulla giurisdizione in materia di responsabilità genitoriale e protezione dei minori, il Regolamento Bruxelles II bis, che si applica indipendentemente dalla circostanza che il minore sia cittadino di uno Stato UE. È, quindi, nel Regolamento Bruxelles II bis che la Cassazione avrebbe dovuto cercare se vi era un criterio di giurisdizione analogo a quello sulla base del quale il giudice ucraino ha ritenuto la propria competenza.

Prima di tornare su questo punto, è necessario menzionare che sia il Regolamento Bruxelles II bis sia le Convenzioni dell’Aja del 1961 e del 1996 disciplinano, oltre che la giurisdizione (e le Convenzioni dell’Aja anche la legge applicabile) in tema di responsabilità genitoriale e protezione dei minori, anche il riconoscimento delle decisioni.
Il riconoscimento di una decisione emessa dal giudice di uno Stato UE è disciplinato dalle norme del Regolamento, mentre il riconoscimento di una decisione emessa dal giudice di uno Stato aderente a una Convenzione dell’Aja è disciplinato dalle norme della Convenzione.
La sentenza della Cassazione dà atto che l’Ucraina non è uno Stato UE (quindi per il riconoscimento di una decisione ucraina non si applicano le norme del Regolamento), e sostiene che invece tale Stato aderirebbe alle due Convenzioni dell’Aja del 1961 e  del 1996. In realtà, l’Ucraina partecipa alla Convenzione dell’Aja del 1996, non invece a quella del 1961.
Ci si potrebbe chiedere, allora, se il riconoscimento della decisione del giudice ucraino debba essere effettuato in base alle norme della Convenzione del 1996, che prevalgono su quelle della l. n. 218/95. Per valutare tale aspetto, bisogna considerare che la Convenzione dell’Aja del 1996 è in vigore per l’Ucraina dall’anno 2008, mentre la decisione da riconoscere risale all’anno 2013. Quindi la decisione da riconoscere è stata pronunciata quando la Convenzione del 1996 era già in vigore per l’Ucraina.
Per quanto riguarda l’Ucraina, è quindi rispettata la regola dell’art. 53.1 sull’ambito temporale di applicazione della Convenzione la quale stabilisce che “la Convenzione si applica esclusivamente alle misure adottate in uno Stato dopo la sua entrata in vigore in tale Stato”.

Tuttavia, le norme della Convenzione del 1996 sul riconoscimento delle decisioni straniere si applicano, in ciascuno Stato, a partire da quando la Convenzione è in vigore nello Stato in cui la decisione deve essere riconosciuta.
Questo – logicamente – è il significato che deve attribuirsi al paragrafo 2 dello stesso art. 53 il quale stabilisce che “la Convenzione si applica al riconoscimento e all’esecuzione delle misure adottate dopo la sua entrata in vigore, nell’ambito dei rapporti fra lo Stato in cui siano state adottate le misure e lo Stato richiesto”.

Facendo applicazione di tali principi al caso che occupa, la Corte d’Appello di Venezia non poteva riconoscere la decisione Ucraina in base al Regolamento Bruxelles II bis perché l’Ucraina non è uno Stato dell’UE, né in base alla Convenzione dell’Aja del 1996 perché all’epoca in cui è stata adottata la decisione la Convenzione non era ancora in vigore per l’Italia, e neanche in base alla Convenzione dell’Aja del 1961 perché l’Ucraina non è parte di quella Convenzione.

Alla stregua delle superiori considerazioni, era quindi corretta la pretesa del ricorrente di valutare il riconoscimento della sentenza ucraina in base alla legge interna, nella fattispecie la l. n. 218/95 e, in particolare, la disposizione di cui all’art. 64 lett. a), che pone il requisito della competenza internazionale del giudice adito. Stranamente così ha fatto anche la Cassazione anche se, ritenendo (erroneamente) che l’Ucraina partecipasse alla Convenzione dell’Aja del 1961, per essere coerente avrebbe dovuto applicare le disposizioni sul riconoscimento delle decisioni contenute in quella Convenzione.
Dunque, la decisione straniera può essere riconosciuta solo se il giudice che l’ha emanata era fornito di giurisdizione in base ai criteri vigenti nel nostro ordinamento.

E nel nostro ordinamento la giurisdizione in materia di responsabilità genitoriale e protezione dei minori oggi è disciplinata dal Reg. Bruxelles II bis. Solo se nessun giudice di uno Stato UE è competente in base al Regolamento, il giudice di uno Stato UE può valutare la sua competenza in base alle norme sulla giurisdizione interne, ivi comprese quelle delle Convenzioni internazionali ratificate dai vari Stati.
La Cassazione invece ha completamente trascurato il Regolamento e, scendendo nella scala gerarchica delle fonti che disciplinano tale materia, ha ritenuto di dover applicare la Convenzione dell’Aja del 1961, dato che all’epoca in cui è stata avviata la procedura di exequatur quella del 1996 non era ancora in vigore per l’Italia.
Conviene ora seguire il ragionamento della Cassazione e poi verificare se applicando, come si sarebbe dovuto fare, il Regolamento anziché la Convenzione, le conclusioni sarebbero cambiate.

L’art. 1 della Convenzione dell’Aja del 1961 pone come fondamentale criterio di giurisdizione quello della dimora abituale del minore.
Nel nostro caso, però, il giudice ucraino non era il foro della dimora abituale del minore, che viveva in Italia con il padre, bensì quello della sua cittadinanza.

Per valutare se il giudice ucraino poteva essere competente in base ad un criterio di giurisdizione corrispondente a quello vigente in Italia, bisognava quindi domandarsi se la Convenzione dell’Aja del 1961, oltre a quello principale della residenza, prevedesse anche un criterio di giurisdizione fondato sulla cittadinanza.

Una disposizione di questo tipo esiste ed è quella dell’art. 4 che stabilisce: “se le autorità dello Stato di cui il minore è cittadino giudicano che l'interesse del minore lo esige, esse possono, dopo aver informato le autorità dello Stato di sua residenza abituale, adottare in base alla loro legislazione interna misure miranti alla protezione della sua persona o dei suoi beni".
La Cassazione ha osservato che questa disposizione “stabilisce una competenza concorrente in capo allo Stato di cittadinanza del minore, destinata ad attivarsi all'esito di un percorso procedimentale precisato nella stessa norma che ne rivela il carattere non equiordinato.
Nella Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, l'attivazione delle autorità dello Stato di cittadinanza passa attraverso l'apprezzata necessità di un intervento a tutela dell'interesse del minore e resta, ancora, mediata dalla previsione della preliminare informazione tra gli Stati di dimora e cittadinanza, in relazione alle ragioni della deroga rispetto al criterio ordinario ed alla necessità d'intervenire.
I criteri della "dimora abituale" e della cittadinanza del minore, nel combinarsi delle disposizioni di cui agli artt. 1 e 4 della Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, non valgono ad individuare competenze concorrenti ed alternative, ma, al contrario, evidenziano un criterio ordinario non derogabile se non nei limiti prefigurati nell'art. 4. La competenza ulteriore ed eventuale, prevista in quest'ultima disposizione, ha la esclusiva funzione di rafforzare la tutela e la protezione del minore in relazione alle scelte inerenti la sua persona ed i suoi beni ma è strettamente correlata all'inerzia a provvedere dello Stato di dimora o ad altre circostanze che possano precludere o rendere non effettivo il suo intervento
”.

Come si vede, dunque, la Convenzione dell’Aja del 1961 non prevede che il giudice dello Stato della cittadinanza del minore possa ritenersi sic et simpliciter competente in una causa di responsabilità genitoriale e protezione del minore in aggiunta a quello dello Stato di residenza.
La Cassazione ha interpretato l’art. 4 della Convenzione nel senso che esso “prevede la possibilità di affiancare alla competenza principale dello Stato di dimora abituale quello dello Stato di cittadinanza ove la prima non riesca a dispiegarsi in modo efficace”.
Secondo la Cassazione, quindi, il requisito dell’interesse del minore a che venga emessa una decisione da parte del giudice dello Stato di sua cittadinanza, previsto dall’art. 4 della Convenzione, sussiste nella misura in cui quello dello Stato di residenza non si possa o non si voglia pronunciare.

Quello dell’interesse del minore, così inteso, è un requisito di carattere sostanziale. L’attivazione della competenza dello Stato di cittadinanza ne richiede però anche uno di carattere procedimentale.
La Cassazione ha infatti osservato che “l'intervento dello Stato di cittadinanza ha natura eccezionale e come tale deve essere giustificato, dal punto di vista sostanziale, dalla necessità di provvedere e, da quello procedimentale, dalla previa interlocuzione con lo Stato in via ordinaria competente (art. 4, comma 1, Convenzione dell'Aja del 1961)”.

In conclusione “sulla base della Convenzione del 1961 perché lo Stato di cittadinanza possa intervenire, a mezzo delle sue autorità, giudiziarie o amministrative, adottando misure in favore del minore, è necessario dimostrare, o almeno allegare di aver assolto:
a) all'onere sostanziale, rappresentato dalla necessità di operare nella impossibilità o inerzia dello Stato di residenza abituale del minore stesso avente competenza in via principale;
b) all'onere formale, consistente nella avviata preliminare interlocuzione con lo Stato della residenza abituale.
Tanto premesso, ove richiesto di concedere l'exequatur, dovrà essere lo Stato di dimora abituale a verificare che i detti presupposti siano stati tutti adempiuti
”.

Dopo aver enunciato quando, in base alla Convenzione dell’Aja del 1961, il giudice dello Stato di cittadinanza del minore può considerarsi competente ad adottare una decisione relativa alla responsabilità genitoriale o alla protezione del minore (e questo, come abbiamo visto, al fine di valutare se la sentenza pronunciata da questo giudice possa essere riconosciuta in Italia), la Cassazione ha correttamente osservato  che “la Corte di appello di Venezia, con l'impugnata decisione, non si è attenuta ai principi indicati, avendo accolto la domanda sul rilievo che il giudice dello Stato ucraino potesse conoscere della causa "in quanto entrambe le parti - i genitori della minore - sono di nazionalità ucraina"”.

Sembra quindi di capire che la Corte d’Appello di Venezia abbia ritenuto che il giudice ucraino era competente e in base al criterio della cittadinanza dei genitori del minore, senza minimamente porsi il problema se e a quali condizioni tale criterio avrebbe potuto, ove fosse stato localizzato in Italia, giustificare la competenza del giudice italiano.

La Corte ha quindi cassato la decisione della Corte d’Appello di Venezia, in quanto non sussisteva la competenza internazionale del giudice ucraino.

L’iter logico argomentativo compiuto dalla Corte di Cassazione per cassare l’ordinanza della Corte d’Appello veneziana è, in astratto, corretto nella misura in cui ha sanzionato il fatto che quest’ultima – ai fini del riconoscimento della decisione straniera - non si fosse posta il problema della competenza internazionale del giudice ucraino in base a criteri di giurisdizione corrispondenti a quelli vigenti in Italia. Non lo è, invece, nella misura in cui ha individuato i criteri di giurisdizione costituenti il parametro valutativo per la sussistenza della competenza internazionale del giudice straniero nella Convenzione dell’Aja del 1961 anziché nel Reg. Bruxelles II bis.

Vediamo allora, se applicando il Regolamento Bruxelles II bis, le conclusioni della Cassazione possono essere confermate o meno.
Il Reg. Bruxelles II bis, all’art. 8, pone come criterio principale quello (anziché della dimora) della residenza abituale del minore, che nel nostro caso era in Italia, mentre all’art. 15 prevede la possibilità che a conoscere della causa sia il giudice dello Stato di cittadinanza (§ 2, lett. c)) “in via eccezionale”, quando si può ritenere che questo sia più adatto a trattare il caso e ciò corrisponda all’interesse del minore, ma solo a  seguito di una procedura che prevede l’interlocuzione del giudice dello Stato di cittadinanza da parte di quello della residenza, procedura che nella fattispecie non si è verificata, né poteva verificarsi in quanto (naturalmente) il Regolamento la prevede solo tra giudici di Stati comunitari.
Sembrerebbe quindi che, anche in base al Regolamento Bruxelles II bis, non si possa mai affermare la competenza del giudice dello Stato di cittadinanza e quindi che la sentenza del giudice ucraino, che proprio su quel criterio affermava la giurisdizione, non possa essere riconosciuta in Italia in base al principio della reciprocità della competenza.
Ma, ad un attento esame, risulta che così non è.
L’art. 14 del Regolamento Bruxelles II bis sulla c.d. competenza residua stabilisce infatti che, se nessun giudice di uno Stato UE è competente in base al Regolamento, il giudice adito può affermare la propria competenza anche in base alle norme interne sulla giurisdizione.
In Italia, la norma interna sulla giurisdizione in materia di responsabilità genitoriale è costituita dall’art. 37 l. n. 218/95, che così dispone: “In materia di filiazione e di rapporti personali fra genitori e figli la giurisdizione italiana sussiste, oltre che nei casi previsti rispettivamente dagli articoli 3 e 9, anche quando uno dei genitori o il figlio è cittadino italiano o risiede in Italia”.
Come si vede, dunque, l’Italia ammette la possibilità che il giudice si consideri competente in una causa di responsabilità genitoriale se la causa riguarda un minore di cittadinanza italiana, che è, a parti invertite, quanto ha fatto il giudice ucraino nella sentenza del cui riconoscimento si discute.
Non si può quindi affermare che la competenza giurisdizionale del giudice ucraino fosse fondata su un criterio sconosciuto all’ordinamento italiano. Applicando le norme sulla giurisdizione contenute nel Regolamento Bruxelles II bis, anziché quelle della Convenzione dell’Aja del 1961, e tenuto conto che il Regolamento dà spazio alle norme interne sulla competenza residua, non è vero quello che ha sostenuto la Cassazione per cassare l’ordinanza della Corte di Appello veneziana.
E cioè che “la decisione ucraina di cui è stato richiesto il riconoscimento non integra la condizione di reciprocità prevista dalla L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. a), essendo stata emessa da giudice di uno Stato privo della competenza giurisdizionale internazionale secondo i criteri di determinazione di tale competenza previsti dal nostro ordinamento”.
In realtà, anche se la Corte d’Appello non si è posta il problema, la sua decisione sul riconoscimento non doveva essere cassata, ma solo corretta nella motivazione, perché in realtà il giudice ucraino aveva la competenza sulla base del criterio della cittadinanza del minore, che è ammesso anche nell’ordinamento italiano perlomeno in quelle fattispecie che sono collegate con Stati extracomunitari sicché nessun giudice di uno Stato UE partecipante al Regolamento sarebbe competente in base al criterio della residenza abituale da questo dettato.

 

 

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