Il Covid-19 non è (solo) una malattia: lo studio legale e le misure di prevenzione antinfortunistica

27 APRILE 2020 | Salute | #andràtuttobene

Anche gli studi legali, in quanto “luoghi di lavoro”, sono chiamati a confrontarsi con le misure precauzionali previste al fine di prevenire il contagio da Covid-19.

Ciò sia in questa fase di “lockdown”, in cui comunque agli studi professionali è stato concesso di proseguire la propria attività, sia nella prossima “fase 2”, in cui gradualmente tutte le attività produttive riprenderanno a funzionare.

Come qualunque altro datore di lavoro, anche il titolare dello studio legale deve naturalmente rispettare la normativa antinfortunistica al fine di evitare che i propri dipendenti e collaboratori siano esposti a rischi di infortunio. Normalmente i rischi presenti in uno studio legale sono poco significativi, analoghi a quelli che si verificano in altri luoghi ove si svolge solo attività d’ufficio: è possibile quindi che la valutazione dei rischi sia eseguita anche tramite strumenti standardizzati, senza la necessità di costose e complesse analisi. Questo ha generato in molti di noi una sensibilità piuttosto debole rispetto al problema della sicurezza nel nostro studio legale: senz’altro più limitata rispetto all’attenzione che poniamo nella verifica di analoghi problemi vissuti dai nostri clienti.

L’impatto del Coronavirus rischia peraltro di aggravare un po’ le preoccupazioni degli avvocati anche sotto questo profilo. Sul punto, infatti, va notato che l’art. 42 del D.L. 18/2020 (c.d. Cura Italia) ha equiparato la malattia da Covid-19 all’infortunio sul lavoro, laddove il contagio sia avvenuto nel luogo di lavoro.

Questa norma pone anche agli studi professionali diversi problemi.

Come noto infatti il datore di lavoro è obbligato, ai sensi dell’art. 2087 c.c., ad adottare nei luoghi di lavoro ogni accorgimento, suggerito dalla migliore esperienza e tecnica (e non solo dalla normativa antiinfortunistica), al fine di evitare che i propri dipendenti o collaboratori subiscano infortuni. Laddove si possa dimostrare che il datore di lavoro non ha messo in atto tali accorgimenti, e che l’infortunio è diretta conseguenza di tali mancanze, sorge a carico del datore di lavoro una responsabilità risarcitoria, che solo in parte, come è noto, è coperta dall’assicurazione INAIL. Residua infatti a carico del datore di lavoro il c.d. danno differenziale, che può essere azionato direttamente dal dipendente. A tacere dell’eventuale responsabilità penale, che può dar luogo, sotto il profilo civilistico, anche a rivalsa da parte dell’INAIL.

E’ evidente che qualificare la malattia da Coronavirus come “infortunio” può generare a carico del datore di lavoro alcune difficoltà nel fornire la prova di aver adottato ogni accorgimento tecnico per evitare il contagio: prova che grava proprio sul datore di lavoro, “debitore”, nei confronti del dipendente, dell’obbligazione di rendere sano e idoneo il luogo di lavoro. Considerato che dal punto di vista scientifico non sono ancora esattamente noti tutti i processi epidemiologici in base ai quali il virus si trasmette da persona a persona, appare chiaro che non si possono escludere nel prossimo futuro controversie tra dipendenti e datori di lavoro per ottenere il risarcimento del danno in caso di contagio contratto nel luogo di lavoro.

Stando così le cose, appare assai opportuno che anche i titolari degli studi legali mettano in atto tutti i più opportuni presidi per evitare il contagio tra i propri dipendenti e collaboratori.

Su quali siano questi “presidi” vi è peraltro ancora una certa confusione.

Dal punto di vista normativo, specificamente in relazione alle attività professionali, il DPCM 10 aprile 2020, all’art. 1 lettera ii) ha espresso alcune raccomandazioni:
a) mantenere e incentivare per quanto possibile il telelavoro;
b) assumere protocolli di sicurezza anti-contagio, e laddove non sia possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, di adottare strumenti di protezione individuale;
c) incentivare le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro.
Queste “raccomandazioni” sono state poi fatte proprie da un protocollo d’intesa sottoscritto tra i sindacati e il governo per disciplinare la c.d. “fase 2”: il protocollo, sottoscritto il 24 aprile 2020 (VEDI ALLEGATO), che integra e aggiorna il precedente protocollo del 14 marzo 2020, prevede alcune cautele particolari per evitare il contagio.

Quelle che appaiono particolarmente rilevanti per gli studi legali sono:
- la necessità di provvedere a giornaliera pulizia degli ambienti, delle tastiere, degli schermi e dei mouse nonché degli altri strumenti utilizzati nello studio, e di mantenere i locali sufficientemente areati;
- la necessità di far utilizzare a coloro che condividono lo stesso spazio di lavoro (tipicamente: la stessa stanza) mascherine chirurgiche e se ritenuto opportuno, anche guanti protettivi;
- la necessità di mettere a disposizione detergenti igienizzanti per le mani.

Disposizioni particolari sono dettate nel caso in cui uno dei dipendenti e dei collaboratori venga contagiato dal virus: in tal caso, oltre alla quarantena del soggetto e delle persone che sono state a contatto con lui, è prevista anche la necessità della sanificazione dei locali.

Naturalmente, in considerazione della necessità di evitare il più possibile la contiguità nel lavoro, se possibile sarò opportuno anche riorganizzare gli spazi dello studio individuando le modalità di utilizzo di sale riunioni o altri locali idonei per distanziare le postazioni di lavoro.

Analoghe misure di distanziamento andranno assunte anche al momento dell’incontro con i clienti e con gli altri utenti dello studio.

Si tratta, come si vede, di modalità operative che, con qualche sforzo organizzativo, possono contribuire non solo alla riduzione della diffusione del virus (non solo per i dipendenti, ma per tutti coloro che frequentano lo studio, avvocati compresi), ma anche a limitare il rischio di conteziosi o, il che non è affatto secondario, ad evitare fastidiose contestazioni da parte degli organi di controllo.

 

Stefano Zoccarato - Avvocato in Treviso

 

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