La Scuola al tempo del Coronavirus 2020: riflessioni sull'educazione e non solo nel tempo presente

27 APRILE 2020 | #andràtuttobene

Questa maledizione potrebbe paradossalmente rivelarsi una benedizione. 

Sta per concludersi la terza settimana di restrizione del movimento per le regioni del Nord, la prima per  l’intero Paese. 

Cosa accade nelle scuole, dentro le scuole solo apparentemente chiuse, ognuno da casa al proprio posto … l’atmosfera, i sentimenti serpeggianti, gli entusiasmi e le criticità del sapersi in seconda linea in questa battaglia ... così come anche Papa Francesco ha ricordato al mondo intero venerdì scorso nella sua preghiera universale contro la pandemia...   

Le scuole non sono tutte allo stesso livello di esperienza per la Didattica a distanza (DAD). 

Alcune sono avanti, hanno già realizzato da tempo esperienze mature diffuse con il mondo interattivo Google – Suite, altre utilizzano al meglio piattaforme interattive come i registri elettronici; altre hanno aperto all’utenza i registri solo in questa infausta occasione e la maggioranza dei docenti non ha mai realizzato esperienze di didattica con l’ausilio distrumenti digitali, al di là dell’uso, non sempre approfondito delle LIM. 

Ciò nonostante, pure in misura e con strumenti diversi, la stragrande maggioranza (prossima alla totalità) degli insegnanti, si sono attivati per offrire qualcosa ai ragazzi. 

Chi usa le piattaforme sofisticate e ne ha insegnato l’uso ai colleghi, si è cimentato già con lezioni on line. Alcune scuole, soprattutto del secondo grado, con i dovuti adattamenti, seguono l’orario settimanale delle lezioni. Ciò anche per organizzare l’offerta e non sovrapporre le proposte, mettendo in difficoltà i ragazzi e le loro famiglie. Dove ciò non è stato possibile, i docenti hanno proposto videolezioni in differita, mandato materiali, link, dispense, ecc. servendosi delle stesse piattaforme o del registro elettronico. Dove anche  questo era difficile, hanno usato le mailing list e persino whatsapp. 

Se da un lato la stragrande maggioranza delle famiglie ha accolto con gratitudine e rispetto la presenza della scuola, dall’altro in molti hanno, a volte timidamente, a volte assertivamente, fatto presente che spesso i genitori erano impegnati al lavoro e i ragazzi erano soli o affidati ai nonni, che non sempre erano in grado di aiutarli; che a casa il computer era uno solo, conteso da più figli e magari dagli stessi genitori in lavoro agile; che la rete domestica non sempre sosteneva tutti gli accessi; che magari tutti avevano uno smartphone o un tablet, ma non una stampante …  

Se i preadolescenti e gli adolescenti delle secondarie di primo e secondo grado sono abbastanza autonomi nella gestione dei dispositivi e dei compiti assegnati (anche se vanno controllati e seguiti anche loro), i più piccoli, invece, hanno bisogno del supporto e dell’ausilio dei genitori o dei familiari sia per lo svolgimento dei compiti, sia per l’accesso ai materiali, dato che magari si servono dello smartphone dei genitori o non hanno accesso diretto e autonomo ai computer e alla rete. Ciò, prevedibilmente, può creare difficoltà nelle famiglie se i genitori sono impegnati col lavoro e non possono seguire direttamente nel corso della giornata i ragazzi. 

Non in tutti i casi si è trovato il modo di attivarsi per i piccolissimi della scuola dell’infanzia. 

In genere, però, anche per questo grado di scuola sono stati proposti video con i saluti delle maestre, letture compiute da loro stesse, richieste di fare disegni, realizzare piccoli lavori manuali con tanto di tutorial, piccoli esperimenti, giochi…  
Purtroppo abbiamo toccato con mano un fatto che avevamo già intuito: la DAD ha appunto tenuto a maggior distanza gli alunni più bisognosi e fragili: i più poveri, gli stranieri poco alfabetizzati e meno  integrati; i disabili, i “marginali”. I ragazzi a rischio di dispersione rischiano in questo frangente seriamente di disperdersi davvero; gli alunni già attrezzati seguono le lezioni e ne traggono beneficio, quelli meno fortunati rischiano di restare ancora più indietro, allargando la forbice del divario e delle opportunità. 

Paradossalmente, anche in questa ostinazione nel cercarli, chi si sta mettendo in gioco scopre delle praterie di senso che irrobustiscono la vita, mentre chi guarda solo il proprio ombelico, usando la paura del contagio o dell’incapacità o negligenza contrattuale per starsene comodamente sul divano, restringe lo sguardo. 

Questa emergenza deve alla fine animare un dibattito nazionale sul valore delle tecnologie, sulle loro  potenzialità, sulle criticità da superare, non solo in ambito scolastico, ma dell’intero Paese. Serve un dibattito nazionale sullo stato delle infrastrutture digitali, sui modi per colmare i divari di competenze, possibilità di accesso non solo per abilità e disponibilità  di  dispositivi, ma anche per possibilità di connessione e di accesso alla rete. 

Ci sono molti squarci di speranza in questo dramma. E uno dei più preziosi penso che sia quello di poter dare un significato nuovo a quello che si fa e si è. Una cassiera in un supermercato riesce a dare un significato molto più grande al suo lavoro. Un docente comincia ad essere apprezzato per quello che riesce a fare con i mezzi a disposizione e con le sue competenze inesperte con rara velocità di azione. 

Serve, all’interno della scuola, una seria discussione sulle potenzialità delle tecnologie per arricchire e mutare gli ambienti di apprendimento, in  termini di spazi, tempi, organizzazione e relazioni. Questa emergenza ci ha colti totalmente impreparati e non possiamo, con il ritorno alla normalità, non fare tesoro dell’esperienza per arricchire la normalità ed essere pronti per futuri eventuali momenti di difficoltà che, dobbiamo rassegnarci, in futuro si ripresenteranno, purtroppo anche in ragione dei mutamenti climatici e dell’impoverimento del patrimonio naturale.

Questo tempo incerto non va solamente risolto. È necessario che sia vissuto e abitato per riscoprirvi nuove forme di essere con e per l’altro, ripartendo anzitutto dal Legame e dai legami: sono questi l’alambicco più prezioso per distillare quegli sguardi di senso che aiutano a scolpire la storia, a ricordare la bella scuola …

In  questo momento, tuttavia, credo che noi insegnanti ed educatori dobbiamo privilegiare l’apprendimento, gli sforzi per sostenere la motivazione e la curiosità. Non dimentichiamo che l’apprendimento è un elemento vitale per tutti i viventi, ciò che consente loro di sopravvivere e di adattarsi all’ambiente e ai suoi mutamenti. Più che mai in questo momento, dobbiamo fare in modo di animare  interesse, curiosità, motivazione ad apprendere. Ciò non solo garantisce il diritto inalienabile all’istruzione, ma, cosa più importante, allontana i rischi di estraniazione, angoscia, disorientamento e depressione.  

Una citazione di T.H. White mi pare oltremodo intonata al tempo presente: 

«Il rimedio migliore quando si è tristi è imparare qualcosa. È l’unico che sia sempre efficace. Invecchi e ti tremano mani e gambe, non dormi alla notte per ascoltare il subbuglio che hai  nelle vene, hai nostalgia del tuo unico amore, vedi il mondo che ti circonda devastato da pazzi  malvagi, oppure sai che nelle cloache mentali di gente ignobile il tuo onore viene calpestato. In  tutti questi casi, vi è una sola cosa da fare: imparare. È l’unica cosa che la mente non riesce mai ad esaurire, da cui non si lascia mai torturare, che mai teme o di cui mai diffida, di cui mai si pente. Imparare è il rimedio per te». 

Questa situazione rende trasparenti non solo i canali di Venezia ma anche tutti noi.

Forse questa pandemia ci aiuterà a fare tabula rasa di tanti altri virus più subdoli che, se non vengono bloccati per tempo, affaticano i cuori e i polmoni delle nostre comunità, dell’educazione, del nostro stesso Paese. 

 

Cav. Dott.ssa Michela Possamai - Dipartimento Psicologia educativa e clinica IUSVe, Consulente Scuole

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