L’amministratore di sostegno ha un potere processuale speculare e funzionale a quello sostanziale conferitogli nell’interesse del beneficiario

IL CASO. La Corte d’Appello di Milano, con decreto 19.1.2017, ha respinto il reclamo proposto dall’ex marito avverso il decreto del Tribunale di Milano che, a sua volta, aveva respinto il ricorso per la revisione delle condizioni di divorzio. In particolare, l’uomo aveva chiesto la modifica di un precedente decreto di revisione con il quale era stato stabilito a suo carico l’obbligo di corresponsione di un assegno divorzile di euro 769,97 mensili a favore della ex moglie, soggetta ad amministrazione di sostegno.

Secondo la Corte d’Appello di Milano, il reclamo non poteva trovare accoglimento, in quanto da un lato il ricorrente non aveva dimostrato il peggioramento delle proprie condizioni economiche rispetto all’epoca in cui era stato determinato l’ammontare dell’assegno divorzile, mentre dall’altro risultava provato il peggioramento delle condizioni di salute della beneficiaria di amministrazione di sostegno.

Avverso tale decisione l’ex marito ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Col primo motivo il ricorrente ha lamentato la nullità del decreto della Corte d’appello e del decreto del Tribunale di Milano, in quanto per la ex moglie si era costituito in giudizio il suo amministratore di sostegno, sprovvisto però di procura ad litem. L’ex marito lamentava quindi un difetto di legittimazione processuale di costui, poiché la ex moglie sottoposta ad amministrazione di sostegno sarebbe stata dotata di piena capacità processuale di stare in giudizio.

Col secondo motivo il ricorrente ha censurato l’omessa integrazione probatoria da parte della Corte d’appello, con riguardo in particolare all’omessa assunzione di informazioni da organismi terzi (INPS) in merito alla situazione pensionistica della ex moglie.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 6518/2019, ha rigettato il ricorso, ritenendo infondato il primo motivo e inammissibile il secondo.

Quanto all’infondatezza del primo motivo, secondo la Corte l’eccepito difetto di legittimazione processuale non sarebbe esistito, poiché il beneficiario di amministrazione di sostegno, relativamente a quegli atti che l’amministratore di sostegno è autorizzato a compiere in nome e per conto dello stesso, non può stare in giudizio se non proprio a mezzo del suo amministratore. Infatti,

la rappresentanza sostanziale conferita all’amministratore di sostegno assume rilievo nel processo, nel senso che l’amministratore di sostegno ha anche, in virtù del disposto dell’art. 75 comma 2 c.p.c., il potere processuale, funzionale alla tutela delle situazioni sostanziali per le quali gli è stato conferito il potere rappresentativo”.

Inoltre, nel caso specifico, il giudizio non riguardava il campo dei diritti personalissimi del beneficiario e, peraltro, nonostante non dovesse ritenersi operante l’art. 374 n. 5 c.c., in quanto si trattava di ipotesi di difesa passiva del beneficiario di amministrazione di sostegno dall’altrui iniziativa giudiziaria, l’amministratore di sostegno si era comunque fatto rilasciare apposita autorizzazione del Giudice Tutelare per resistere alle pretese dell’ex marito.

Mette conto altresì evidenziare che l’amministratore di sostegno era un avvocato, come tale legittimato a stare in giudizio in proprio, come del resto era stato espressamente autorizzato a fare dal Giudice Tutelare.

Quanto alla seconda censura, questa è stata ritenuta inammissibile dalla Suprema Corte in quanto “implicita e generica richiesta di rivisitazione del giudizio di fatto compiuto dai giudici di merito”.

 

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