Per escludere un bene dalla comunione non basta la dichiarazione "ha usato denaro personale"

IL CASO. Tizio e Caia sono coniugi in regime di comunione o quantomeno erano coniugi in regime di comunione quando Tizio acquistò, per sé, un immobile e Caia partecipò al rogito dichiarando nell’atto pubblico che il prezzo veniva pagato con danaro proveniente dal “patrimonio personale” del marito.
Non tutta la vicenda processuale è desumibile con chiarezza dalla ricostruzione compiuta nella sentenza di legittimità. Ma è certo che dopo qualche anno la signora abbia incominciato a dubitare della validità della sua dichiarazione e a sperare che il bene fosse caduto in comunione. Poiché il marito difendeva il diritto esclusivo risultante dall’atto pubblico e dalla successiva trascrizione, la disputa sull’idoneità della dichiarazione di Tizia a sottrare il bene dalla comunione venne sottoposta al Tribunale di Roma, che dichiarò il bene “comune”.
Dello stesso avviso risultò la Corte d’Appello capitolina, che confermò, sul punto, la decisione di primo grado. Né il tenace marito ebbe maggior fortuna avanti il Giudice di legittimità, che rigettò il ricorso di Tizio e lo condannò alle spese enunciando alcuni principi la cui importanza trascende certamente il caso di specie.
Nella controversia riguardante Tizio e Caia si riproponeva dunque un problema ricorrente: stabilire se la dichiarazione resa dal coniuge non acquirente, in occasione dell’atto pubblico, avesse natura ricognitiva e confessoria e fosse dunque sufficiente per escludere la contitolarità dell’acquisto.

LA DECISIONE. La sentenza della Cassazione n. 26981/2018 risolve la questione in maniera convincente, portando a compimento un percorso argomentativo in gran parte già tracciato dalla precedente giurisprudenza e in particolare dalla  pronuncia a Sezioni Unite n° 22755/2009 , alla  quale si richiamerà per dirimere una controversia analoga a quella decisa dalla sentenza commentata anche Cass. n. 29342/2018.
Dopo aver ricostruito il quadro normativo di riferimento la Corte esplicita i passaggi logici che conducono alla decisione:

•    L’art 179 cc indica tassativamente le ipotesi in cui un bene può considerarsi personale ed è solo la ricorrenza effettiva di queste ipotesi a poter determinare l’esclusione dalla comunione.
•    L’intervento adesivo del coniuge può valere come prova dell’esistenza dei presupposti descritti dall’art 179 cc, ma  "non è di per sé sufficiente a escludere dalla comunione il bene che non sia effettivamente personale", perché la dichiarazione  non può valere  come "atto negoziale di rinuncia alla comunione".
•    Dopo aver reso la dichiarazione il coniuge non acquirente può sempre agire in giudizio per far accertare l’inesistenza dei presupposti di fatto che, a’ sensi, dell’art 179 cc avrebbero consentito di sottrarre il bene dalla comunione.
•    L’accertamento successivo sarà possibile “nei limiti dell’efficacia probatoria che l’intervento adesivo avrà in concreto assunto” secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, che esplicitamente la recente decisione della Corte di Cassazione dichiara di condividere.

Il pregio e la novità della sentenza n° 26981/ 2018 è però nelle conseguenze che trae dall’assunto condiviso.
Le Sezioni Unite indicavano, infatti, due ipotesi:
a)    La dichiarazione riguarda la destinazione del bene.
L’adesione del coniuge non acquirente all’intento dichiarato dall’altro di voler destinare l’immobile alla professione esclude il bene dalla comunione a’ sensi dell’art 179 lettera d. Ma il coniuge non acquirente potrà chiedere, successivamente, di accertare che l’immobile ha avuto una destinazione diversa da quella enunciata, anche se l’intento espresso al momento del rogito dal coniuge acquirente fosse stato sincero.
b)    La dichiarazione consiste nel riconoscimento di fatti preesistenti, ad esempio, l’aver usato l’altro coniuge per l’acquisto, denaro ricavato dalla vendita di un bene personale. In questo caso la successiva azione di accertamento presuppone la revoca della confessione stragiudiziale ammissibile, per quanto previsto dall’art. 2332 cc, solo per errore di fatto o violenza.
Cassazione 26981/2018, però, precisa:

"Ove la dichiarazione del coniuge non acquirente confermi un fatto riscontrabile … alla stessa potrebbe assegnarsi natura confessoria, ma ove, come nel caso in esame, si tratti di un mero generico asserto qualificatorio (il denaro utilizzato era personale ) si è  al di fuori della dichiarazione a scopo confessorio , difatti  definire sic et simpliciter  personale il denaro con cui si è adempiuto all’obbligazione del prezzo non identifica un fatto bensì esprime una qualificazione giuridica come tale insuscettibile di confessione oltre che non vincolante per l’interprete potendo anche discendere da un errore di diritto del dichiarante".

La Suprema Corte coglie poi l’occasione per sottolineare un altro importante principio:

non può ritenersi personale "l’acquisto avvenuto con danaro contante che si trovi nella disponibilità del coniuge acquirente senza che dello stesso possa tracciarne la provenienza

la quale deve essere per legge dipendente dalla vendita o permuta …..di uno dei beni di cui alle lettere da a) a e), diversamente infatti lo scopo della norma ( impedire elusioni del regime della comunione, assicurando ad un tempo, l’esclusività dei beni che siano effettivamente personali… resterebbe irrimediabilmente frustrato)".
Il terzo aspetto interessante è un obiter con il quale Cass. 26981 prende le distanze da Cassazione 10855/2010 (erroneamente indicata come 10885/2010), che aveva affermato la non necessità della dichiarazione del coniuge non acquirente “ove risulti obiettivamente certa la personalità di quanto trasferito a titolo di corrispettivo”.
Ritiene invece Cassazione 26918/ 2018, come del resto già Cass. 11668 /2018:

"deve nondimeno ritenersi che l’intervento adesivo del coniuge non acquirente sia condizione necessaria dell’esclusione dalla comunione del bene acquistato dall’altro coniuge".

Dunque, perché un coniuge in comunione possa acquistare un bene personale l’intervento dell’altro coniuge è necessario, ma non è sufficiente. Bisogna anche che effettivamente ricorrono i presupposti richiesti dall’art. 179, secondo comma lettera f)  c.c.

 

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