La Cassazione riassume i criteri di quantificazione dell’assegno di mantenimento dei figli

Con sentenza n. 25134 pubblicata il 10 ottobre 2018, la Cassazione approfondisce la portata dell'art. 148 cod. civ., laddove prescrive che i coniugi sono tenuti al mantenimento dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Il predetto articolo non detta un criterio automatico per la commisurazione dei rispettivi contributi, ma prevede un sistema più completo ed elastico di valutazione.

IL CASO. La Corte d'appello di Brescia, in parziale riforma del provvedimento emesso dal Tribunale di prime cure, aveva confermato l'affidamento condiviso di un minore collocato prevalentemente presso la madre. Oltre ad aver stabilito le modalità di frequentazione con il padre, la Corte bolognese aveva aumentato ad € 1.500 l’importo dell’assegno mensile di mantenimento a carico di quest’ultimo.
Il padre ricorreva per la cassazione di tale provvedimento, ritenendo in particolare la predetta riquantificazione non giustificata né da un riferimento alle reali esigenze di vita del minore, né da un esame dei redditi dei due coniugi.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, accogliendo il citato motivo di ricorso, ha colto l’occasione per sottolineare l’importanza del giudizio prognostico attinente ai bisogni dei figli, a cui è chiamato il Giudice qualora venga meno l’unità familiare.
In primo luogo, la Corte ha efficacemente descritto le esigenze della prole come “non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione - fino a quando la loro età lo richieda - di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione.
Il giudice del merito deve quindi dare attuazione al principio di bigenitorialità “tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore”.
Sulla scorta di quanto sopra, si rivela essenziale la comparazione non solo dei redditi, ma anche di ogni altra risorsa economica dei genitori, come il valore dei beni immobili e le capacità di svolgere un’attività professionale o domestica.
Mutuando le stesse parole della Corte di legittimità,

il Giudice è tenuto a provvedere alla quantificazione delle rispettive contribuzioni, valutando “il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza e le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti (Cass., 10/07/2013, n. 17089; Cass., 22/03/2005, n. 6197)”.


Ebbene, secondo la Cassazione, il Giudice del gravame si sarebbe erroneamente limitato ad una valutazione generica, omettendo l’esame delle concrete esigenze del minore, nonché delle condizioni patrimoniali dei genitori tenuti al suo mantenimento dando così luogo ad una motivazione meramente “apparente” e perciò tale da inficiare la decisione assunta, ciò che ha determinato la cassazione con rinvio della sentenza della Corte territoriale.

 

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