Maternità surrogata: non integra il delitto di alterazione di stato la dichiarazione di nascita resa conformemente alla lex loci actus

Il CASO. La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cuneo disponeva il sequestro probatorio di talune res (biglietti di viaggio, documentazione clinica e campioni biologici), in quanto cose ritenute pertinenti al delitto di alterazione di stato (art. 567 c.p.). 
Secondo l’accusa, detto reato era stato, infatti, commesso da una coppia di genitori i quali - tanto in Ucraina quanto innanzi all’Ufficiale dello Stato civile del Comune di residenza - avevano attestato l’avvenuta filiazione naturale di una minore nata, in realtà, nel summenzionato paese estero attraverso la c.d. surrogacy: detta pratica, come noto, è, infatti, oggetto di divieto da parte della legislazione italiana.
Il provvedimento di sequestro veniva, tuttavia, annullato in sede di riesame: il Tribunale collegiale di Cuneo propendeva, infatti, per la non sussumibilità della condotta oggetto di contestazione sotto la fattispecie di cui all’art. 567 c.p., attesa la legittimità della maternità surrogata nello Stato di nascita del minore.
Proponeva, dunque, ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica, denunciando, tra le varie doglianze, anche la violazione della legge penale: il ricorrente richiamava, infatti, a questo proposito, la recente pronuncia con cui la Cassazione civile aveva sancito il divieto di trascrizione, nell’ordinamento italiano, dell’atto di nascita del minore concepito all’estero secondo la summenzionata metodica, muovendo, appunto, “dal presupposto che nel nostro ordinamento vige un divieto penalmente sanzionato del ricorso a tale pratica”. 
LA DECISIONE. Con la sentenza n. 31409/20, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della Procura, in quanto infondato, attesa l’obbiettiva carenza del fumus del delitto in oggetto.
La Corte di nomifilachia muove dal presupposto che il certificato di nascita rilasciato dall’autorità estera fosse stato del tutto legittimo, attesa la liceità della surrogacy, secondo l’ordinamento ucraino, laddove almeno il 50% del patrimonio genetico del nascituro provenga dalla coppia c.d. committente (nel caso di specie era stato, infatti, accertato che il padre della minore fosse stato l’unico genitore biologico).
Richiamati i precedenti editi in merito ai rapporti tra la c.d. surrogacy e la fattispecie di alterazione di Stato (art. 567 c.p.), la Suprema Corte chiosa: 

Ai fini della configurabilità di tale delitto, è necessaria un’attività materiale di alterazione di stato che costituisca un quid pluris rispetto alla mera falsa dichiarazione e si caratterizzi per l’idoneità a creare una falsa attestazione, con attribuzione al figlio di una diversa discendenza, in conseguenza dell’indicazione di un genitore diverso da quello naturale […]. Nella fattispecie in esame, le attestazioni relative alla minore, che gli indagati hanno reso sulla base di una certificazione stilata in Ucraina, non integrano certificazioni o attestazioni "false", risultando viceversa legittime secondo la lex loci, che ammette la maternità surrogata eterologa nel caso in cui il patrimonio biologico del minore appartenga per il 50% ai genitori committenti”. 

Non assume, del resto, alcuna rilevanza la pronuncia (n. 12193/2019) con cui le Sezioni Unite civili 
hanno sancito la contrarietà rispetto al c.d. ordine pubblico dell’atto di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero, mediante il ricorso alla maternità surrogata, ed il genitore non biologico: tale statuizione, chiosa la Corte di legittimità, non involge, infatti, per nulla la tematica relativa alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto in oggetto.

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