Domanda di protezione internazionale ed onere di allegazione del richiedente

IL CASO. Con sentenza depositata in data 6.11.2018, la Corte d’appello di Ancona rigettava le domande di protezione internazionale ed umanitaria proposte dall’appellante, già respinte in primo grado dal Tribunale.
A fondamento di tale decisione, la Corte osservava come la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato (che, come noto, è subordinata all’esistenza di un fondato timore di essere perseguitato nel proprio paese per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinioni politiche) non potesse essere accolta per mancanza di prove circa la commissione di atti persecutori in danno del richiedente, mentre la domanda di protezione sussidiaria ex art. 14 lett. a) e b) d.lgs. n. 251/2007 [che presuppone la presenza di un rischio effettivo di subire, rispettivamente, una condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte (lett. a) o, ancora, torture o altre forme di pena o trattamenti inumani o degradanti (lett. b)], dovesse essere rigettata in ragione della scarsa credibilità del racconto fornito dall’istante. 
Parimenti da rigettarsi erano, ad opinione del Collegio, tanto la domanda di protezione sussidiaria ex art. 14 lett. c) d.lgs. n. 251/2007, non sussistendo un rischio grave per la vita della persona collegato all’esistenza di un conflitto armato generalizzato nel paese d’origine, quanto quella di protezione umanitaria, non essendo stata allegata una situazione di vulnerabilità soggettiva del richiedente e non rinvenendosi violazioni dei diritti umani fondamentali dei cittadini da parte delle autorità cingalesi.
LA DECISIONE. Tale pronuncia veniva impugnata con ricorso per cassazione dal richiedente la protezione, che lamentava, con due distinti mezzi d’impugnazione, la violazione e falsa applicazione della normativa in tema di protezionale internazionale ed umanitaria. 
In particolare, con il primo motivo, il ricorrente imputava ai giudici d’appello di non aver esercitato il potere/dovere sancito dall’art. 8, comma 3, d.lgs. n. 25/2008 di verificare officiosamente le condizioni esistenti nel paese di origine e di aver, quindi, omesso di accertare l’esistenza in Bangladesh di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato idonea a giustificare l’accoglimento della sua domanda di protezione internazionale sussidiaria ex art. 14 d.lgs. n. 251/2007, lett. c). 

Con la pronuncia n. 22774/2020, la Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità di tale motivo di gravame sulla base del rilievo che “il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità la violazione, da parte del giudice di merito, del dovere di cd. cooperazione istruttoria da parte del giudice di merito non può limitarsi a dedurre l’astratta violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ma ha l’onere di allegare l’esistenza e di indicare gli estremi delle COI (informazioni sul paese d’origine) che, secondo la sua prospettazione, ove fossero state esaminate avrebbe dovuto teoricamente condurre ad un diverso esito del giudizio”. 

In mancanza di tale indicazione, infatti, ai giudici di legittimità è precluso di valutare in via teorica la necessaria rilevanza e decisività della censura.
Del pari inammissibile è stato dichiarato anche il secondo motivo di ricorso, ritenuto dai giudici di legittimità generico e diretto ad ottenere una mera rivalutazione nel merito della decisione di rigetto della domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente.

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