Quando la GIP censura CTU e servizi sociali per omessa valutazione del reato di genere

IL CASO. Tizia aveva avuto una relazione sentimentale con Caio con il quale aveva convissuto dal 2014 al 2016 e dalla loro unione nel 2015 era nato un bambino.

La relazione si era conclusa con modalità “abbastanza burrascose” e ne era scaturito un contenzioso giudiziale nel corso del quale il Tribunale di Roma aveva affidato il bimbo in via esclusiva al padre, disciplinando il diritto di visita a favore della madre. In una prima fase gli incontri madre – figlio prevedevano l’intervento del servizio sociale, successivamente, il Tribunale aveva previsto che Tizia potesse tenere con sé il bambino continuativamente per alcuni giorni, secondo un calendario concordato con il padre. 

Con querela in data 7 febbraio 2019 Tizia aveva denunciato Caio per violazione dell’art. 388 c.p., in quanto aveva ostacolato/impedito il suo diritto di visita al figlio, frapponendo pretestuose giustificazioni o addirittura non facendosi trovare a casa nei tempi convenuti. 

Il PM formulava richiesta di archiviazione avverso la quale Tizia proponeva opposizione, allegando ulteriore documentazione relativa al complesso contenzioso civile in essere per l’affidamento del minore. 

LA DECISIONE. La GIP presso il Tribunale di Roma, Dott.ssa Paola Di Nicola, con l’ordinanza 16 marzo 2020 in commento, ha respinto la richiesta di archiviazione, ordinando al PM l’imputazione coatta per il reato di cui all’art. 388 c.p., ha trasmesso inoltre gli atti al PM, per quanto di competenza, in ordine all’ulteriore reato di maltrattamenti in famiglia a carico di Caio ed in danno di Tizia, a suo dire emerso dall’esame della documentazione in atti. 

La Giudice ha – quindi – trasmesso la propria ordinanza, in ossequio al disposto di cui all’art. 64 disp. att. c.p.p. ed in osservanza delle linee guida del tavolo Inter-istituzionale presso il Tribunale di Roma, al giudice civile titolare del procedimento di affidamento del minore. 

L’ordinanza del GIP, che si compone di ben 29 facciate, è provvedimento pregevole, in quanto espressione di una non frequente, approfondita conoscenza del corposo fascicolo processuale, costituito per buona parte degli atti e documenti del giudizio civile in essere tra le parti, ma anche dagli atti di querela reciprocamente proposti da Tizia e Caio e della relativa documentazione. 

Ancor più lodevole la vasta competenza giuridica manifestata dalla GIP in tema di violenza domestica e violenza di genere, sia con riferimento alla normativa nazionale, che a quella sovranazionale. 

Pur nella difficoltà di compendiare in questa sede l’articolata ordinanza della GIP, appare opportuno soffermarsi su alcuni dei molti temi trattati che suscitano maggior interesse. 

La Giudice ha qualificato il reato ascritto all’indagato come riconducibile alla violenza di genere. 

A sostegno di tale prospettazione ha richiamato un documento redatto dalla Scuola Superiore della Magistratura il 13 – 15/05/2019 in tema di violenza domestica e violenza di genere (Uffici giudiziari a confronto. Proposta di coordinamento e buone prassi tra gli uffici) che ha evidenziato la necessità di non confondere il conflitto familiare con la violenza domestica: “la conflittualità presuppone sempre una situazione interpersonale basata su posizioni di forza (economica, sociale, relazionale, culturale) simmetriche, l’assenza di simmetria, determinando uno squilibrio di relazione tra le parti, è indice di violenza”.

Il canone interpretativo proposto pare onestamente assai rigido: è, invero, difficile riscontrare in concreto situazioni interpersonali simmetriche alla luce dei parametri suggeriti. 

La GIP si diffonde in un’approfondita disamina della CTU svolta in sede civile, delle relazioni dei servizi sociali di Roma e dei conseguenti provvedimenti adottati dal Tribunale.

Il provvedimento censura in particolare la palese violazione da parte della CTU della convenzione di Istanbul (ratificata dall’Italia con L. 27.06.2013 n. 77 ed entrata in vigore l’1.08.2014), per aver totalmente ignorato le violenze domestiche denunciate da Tizia ad opera di Caio ancora nel 2016, pur ampiamente documentate in atti (verbali di SIT di Tizia, annotazione di servizio della Questura di Roma, certificazioni mediche etc..).

Anche i servizi sociali di Roma, presso i quali si svolgevano gli incontri con modalità protetta, vengono censurati di parzialità, per aver sottovalutato/ignorato i comportamenti gravemente ostruzionistici di Caio in occasione di tali incontri, per non aver minimamente apprezzato, come pure la CTU, i gravi precedenti penali di Caio per reati contro la persona (lesioni personali, rissa etc.), manifestando così “evidente squilibrio valutativo” a favore del padre.

Le relazioni dei servizi sociali, pur presenti in modo incompleto in atti, vengono inoltre censurate di parzialità valutativa anche per non aver minimamente apprezzato, nell’esaminare il rapporto madre – figlio durante gli incontri protetti, il forte condizionamento rappresentato dalla presenza di soggetti terzi, gli stessi assistenti sociali, attenti ad ogni movimento e ad ogni parola rivolta al figlio, con conseguente compromissione della genuinità del rapporto per entrambe le parti. 

Sotto la voce “la responsabilità di G per il reato di cui all’art. 388 c.p.”, la GIP enumera gli elementi a carico di Caio, traendone, peraltro, un giudizio di responsabilità penale riservato ad una successiva fase processuale. Ed invero, compito del GIP, investito dell’opposizione alla richiesta di archiviazione, è “solo” quello di vagliare la sostenibilità o meno dell’accusa in giudizio e l’eventuale necessità di approfondimenti istruttori, non già l’espressione di un giudizio di responsabilità penale. Ma la GIP va persino oltre e fornisce una chiave di lettura di matrice psicologica delle condotte riferibili a Caio, come esclusivamente orientate ad “esercitare la propria forza platealmente”.

Onestamente pare un fuor d’opera.

L’ordinanza in commento si sofferma - poi - lungamente sul fenomeno della vittimizzazione secondaria, processo in forza del quale la vittima di reato vede replicata la propria sofferenza in conseguenza delle modalità con le quali le Istituzioni hanno operato nel corso del procedimento. Ciò per “inconsapevole disattenzione derivante dal trattamento routinario di fatti che richiedono invece un percorso differenziato ed individualizzato”.

Secondo la GIP, tale fenomeno si sarebbe verificato anche nel caso di specie ad opera della CTU e dei servizi sociali di Roma, che non hanno tenuto in alcun conto la violenza di genere patita da Tizia a causa di un processo valutativo inquinato “da una visione pregiudiziale e stereotipata di una delle parti”.

A parere della GIP, Tizia ha addirittura subito una forma di vittimizzazione primaria oltre che secondaria in  quanto si è vista privata dell’affido del figlio riconosciuto a favore del padre che pure l’aveva picchiata, l’aveva portata al tentativo di suicidio, l’aveva ostacolata nel diritto di visita, annoverava precedenti penali per reati violenti e si era servito della propria posizione di potere economico e della sua maggiore età.

L’ordinanza in commento, certamente apprezzabile per le elevate competenze giuridiche (e non solo) che esprime, pone l’accento su importanti tematiche che involgono i reati di genere, in particolare sulla necessità di competenze specifiche per tutti gli operatori che a vario titolo se ne occupano e sulla parallela necessità di un maggior coordinamento tra i magistrati che li trattano (Procura, giudice penale, giudice civile e giudice minorile), ma non manca di suscitare sospetti di parzialità di segno opposto rispetto  a quelli censurati.

Primariamente perché anticipa di fatto un giudizio di colpevolezza nei confronti di un soggetto che in quella fase processuale non riveste neppure il ruolo di imputato, pur riconoscendo, tra l’altro, che gli atti a disposizione sono confusi ed incompleti. 

Nell’enunciare, poi, gli indicatori dell’ipotizzato reato di maltrattamenti in famiglia ai danni di Tizia, ancora una volta, anticipa un giudizio di responsabilità penale, pur in difetto, persino, di un procedimento a carico di Caio.

Dà, inoltre, conto dell’esistenza in atti di almeno un paio di denunce di Caio nei confronti di Tizia per maltrattamenti in suo danno e in danno del figlio minore, ma non si sofferma minimamente sul contenuto di tali denunce.

Ebbene, il timore è che l’indubbia, qualificata, competenza giuridica della GIP, arricchita da approfondite conoscenza di nozioni complementari alla stessa scienza giuridica, rischi di essere contaminata da un pregiudizio valutativo di segno opposto rispetto a quello che intende contrastare. 

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