Prime applicazioni dei principi sanciti dalla sentenza n. 18287/2018 delle Sezioni Unite in materia di assegno divorzile

Con sentenza del 17/7/2018 il Tribunale di Pavia richiama sinteticamente, ma molto efficacemente, i principi espressi dalla nota sentenza n. 18287/18 della Suprema Corte che, a distanza di 28 anni, si è nuovamente pronunciata a Sezioni Unite in materia di assegno divorzile.
In particolare il Tribunale, facendo puntuale applicazione di tali principi, dichiara cessato l’obbligo di concorso al mantenimento dell’ex moglie da parte dell’ex marito, dopo avere effettuato una matematica valutazione/comparazione delle risorse economico/patrimoniali delle parti, ai fini di accertare un eventuale squilibrio tra queste, e dopo un giudizio prognostico su quale sarebbe stata l’attuale condizione economica della signora, qualora avesse coltivato il lavoro al quale, invece, aveva rinunciato per dedicarsi alla cura della famiglia, come concordato col marito.
Nel caso in esame, la coppia, al momento della separazione, aveva diviso il patrimonio comune, frutto del lavoro del marito e del contributo della moglie mediante la cura della famiglia, ed aveva altresì concordato un importante assegno di mantenimento per la signora, che appunto non lavorava, nonché un assegno per il mantenimento dei figli.
I coniugi, sposatisi molto giovani, nel 1977, avevano avuto tre figli, due dei quali nel corso della causa di divorzio avevano raggiunto l’indipendenza economica.
Al momento della decisione, dal raffronto della situazione economico/patrimoniale degli ex coniugi (che avevano già ottenuto sentenza parziale sullo status) emergeva che l’ex marito non godeva più degli ingenti redditi del passato, percependo una ben più modesta pensione, mentre la signora, nel tempo, aveva aumentato il proprio patrimonio, grazie al lauto assegno percepito per anni, che aveva potuto, in parte, accantonare.
La signora, dunque, godeva di un ottimo reddito capitale derivante dal consistente patrimonio mobiliare accumulato e, volendo, avrebbe anche potuto locare due box auto in centro città e due case di vacanza, di cui era proprietaria.


Accertato, dunque, l’equilibrio economico tra le parti, il Tribunale in questo specifico caso, in cui la coppia si era sposata giovanissima ed il matrimonio era durato molti anni, “proprio per salvaguardare quei principi di solidarietà postmatrimoniale”, ha ritenuto di procedere, poi, “diligentemente” ad un giudizio prognostico relativo alle aspettative sacrificate dalla ex moglie, giudizio “che comporta una valutazione “come se” un determinato fatto non fosse accaduto”, valutazione in cui “l’elemento da eliminare è il matrimonio e non il divorzio”, valutazione da effettuare se necessario, come nel caso in esame, anche facendo applicazione degli artt. 115 c.p.c e 2729 c.c..


Così, accertato che la signora si era laureata in scienze politiche con l’obiettivo di svolgere la professione di giornalista (attività mai svolta), il Tribunale ha ritenuto che, secondo la comune esperienza e facendo riferimento a dati medi e notori, il lavoro di giornalista non avrebbe consentito alla signora di raggiungere, a fine carriera, una situazione patrimoniale migliore di quella di cui oggi può godere, posto che, a parte le “grandi firme”, i lavoratori del settore non percepiscono redditi elevati, tanto meno alte pensioni.
Pertanto, accertata l’equivalenza della situazione economico/patrimoniale degli ex coniugi e valutato che, se anche avesse svolto la professione di giornalista, la moglie oggi non avrebbe goduto di una migliore condizione economica, il Tribunale non ha riconosciuto il suo diritto a ricevere un assegno divorzile.
La lettura della sentenza evidenzia come il Tribunale si sia adeguato al mutamento di rotta della Suprema Corte, sottolineando come

il Giudice  del divorzio non potrà più seguire il percorso regolare e tutto sommato “tranquillizzante” della “struttura bifasica” e del “tenore di vita”, inteso come clausola onnicomprensiva, ma dovrà lavorare con fatica analitica per ricostruire consistenza patrimoniale e prospettive reddituali dei due ex coniugi, allo scopo di confrontarle e di ricercare un punto di equilibrio per niente facile.


Senza dimenticare – ovviamente – di immaginare quale sarebbe stata la situazione patrimoniale del coniuge che abbia rinunciato a coltivare le prospettive di affermazione professionale per dedicarsi invece alla famiglia e tenerne conto ai fini di tale raffronto.
Ciò senza contare le difficoltà istruttorie in capo alle parti, soprattutto nelle ipotesi di matrimoni di lunga durata.
Infine, coraggioso e teso su un filo sottile il pensiero del Tribunale a proposito della necessità di non utilizzare l’assegno divorzile per riequilibrare le differenze di genere rispetto al mondo del lavoro. Giudizio difficile perché estremamente scivoloso, posto che non è difficile confondere il giudizio di genere con la realtà della situazione esistente, con un conseguente pregiudizio per il coniuge più debole.

 

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