Delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio ed eccezione di “convivenza”: rito camerale o procedimento ordinario?

Con la sentenza n. 8028/2020, la Corte di Cassazione ha ribadito che qualora la domanda sul riconoscimento dell’efficacia della sentenza canonica di nullità del matrimonio sia proposta da uno solo dei coniugi, trova applicazione la disciplina del giudizio ordinario e non quella del procedimento camerale.

Nel caso esaminato, la Corte d’appello di Roma aveva rigettato la domanda del marito per sentir dichiarare efficace nell’ordinamento italiano la sentenza del Tribunale ecclesiastico del Lazio, resa esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, con cui era stata dichiarata la nullità del matrimonio concordatario per difetto di discrezione di giudizio da parte del marito circa i diritti e doveri matrimoniali essenziali. La moglie si era costituita nel giudizio, opponendosi alla delibazione in ragione della prolungata convivenza e del tentativo di procreare figli.   

La Corte d’appello, richiamandosi al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, aveva ritenuto la pluriennale convivenza dei coniugi quale situazione giuridica di ordine pubblico italiano ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza canonica di nullità del matrimonio.

Il marito, aveva proposto ricorso alla Corte Suprema articolato in cinque motivi. 

La Corte, con la sentenza in esame, ha accolto il ricorso e, dopo aver precisato che  la convivenza triennale delle parti “come coniugi” “non è rilevabile d’ufficio da parte del giudice, ma costituisce oggetto di un’eccezione in senso stretto, che il convenuto ha l’onere di proporre a pena di decadenza nella comparsa di costituzione”, ha osservato che la Corte territoriale non aveva verificato preliminarmente se tale eccezione fosse stata ritualmente proposta o piuttosto sollevata tardivamente come lamentato dall’attore e  di fatto accaduto in quanto proposta nella comparsa di risposta tardivamente depositata.

La Corte, in proposito, richiama quindi il principio enunciato in tema di delibazione delle sentenze canoniche di nullità del matrimonio per cui

“a seguito delle modifiche al Concordato con la Santa Sede introdotte dall’Accordo di Roma del 18 febbraio 1984, ove la relativa domanda sia proposta da uno solo dei coniugi, non trova applicazione la disciplina del procedimento camerale, ma quella del giudizio ordinario di cognizione ai sensi dell’art.796 c.p.c. (Cass. S.U.n.2164/1988)”.

In applicazione di detto principio, “la costituzione della convenuta dinanzi la Corte d’appello doveva ritenersi disciplinata dall’art.167 c.p.c. il quale imponendo al convenuto, a pena di decadenza, di proporre nella comparsa di risposta, oltre alle domande riconvenzionali, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, comporta l’assoggettamento delle stesse al medesimo termine stabilito per la costituzione dall’art.166 c.p.c.”.


 

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