Il diritto soggettivo alla protezione umanitaria e l’applicabilità dello ius superveniens

Il caso deciso dalla Corte di Cassazione riguarda un cittadino della Guinea che, all’inizio dell’anno 2018, aveva impugnato avanti al Tribunale di Napoli il provvedimento amministrativo di rigetto della domanda di protezione internazionale ed umanitaria adottato dalla competente Commissione Territoriale.
Il Giudice di primo grado, a sua volta, non aveva accolto alcuna delle istanze che il richiedente aveva reiterato in sede giudiziaria, sull’assunto della natura prevalentemente economica delle ragioni di allontanamento dal Paese di origine.
Esclusa quindi la riconducibilità della situazione alle ipotesi tipicizzate di rifugio e protezione sussidiaria di cui all’art. 14 Dlgs 251/2007 lettere a) e b); esclusa anche l’applicabilità della successiva lettera c) per la progressiva stabilizzazione del quadro politico del Paese di provenienza (con maggiori garanzie per la protezione dei diritti umani); giudicate non ricorrenti, infine, le circostanze (soggettive) per la protezione sussidiaria di tipo umanitario.
Avverso tale decisione il cittadino straniero ha proposto ricorso in Cassazione, la quale – con la decisione in commento - ritiene anzitutto inammissibili i motivi di censura riferiti alla protezione internazionale, in quanto sostanzialmente diretti ad una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità, nonché per la congruità e sufficienza della motivazione del provvedimento di primo grado.

La sentenza si sofferma invece sull’ultima censura, attinente il mancato riconoscimento del permesso per motivi umanitari (cfr. art. 5 comma 6° d.lgs. n. 286/1998 e art. 28, comma 2 lett. D) d.p.r. n. 394/99), ritenendo di dover preliminarmente individuare il paradigma legislativo applicabile, essendo nelle more del giudizio intervenuto il d.l. n. 113/2018 convertito con modificazioni nella legge n. 132/2018 (in vigore dal 5.10.2018).

Per la Corte le nuove norme hanno sostanzialmente mutato la disciplina, abrogando gran parte dell’art. 5 comma 6° del T.U. stranieri (e quindi anche il permesso di soggiorno per motivi umanitari): l’attuale legislazione prevede alcune categorie tipicizzate di permessi di soggiorno.
Anzitutto un permesso di soggiorno per “protezione speciale” (della durata di un anno, non convertibile in un permesso ordinario per motivi di lavoro, pur consentendo l’espletamento di attività lavorativa) al ricorrere delle condizioni di cui all’art. 19 comma 1 Dlgs 286/1998: rischio individuale di essere soggetti a persecuzioni per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, opinioni politiche, condizioni personali e sociali, o fondati motivi di essere sottoposti a tortura.
Ed ulteriori tre tipi di permesso di soggiorno al ricorrere di altre particolari circostanze: per cure mediche (ex art 19 comma 2 lettera d-bis, in caso di “condizioni di particolare gravità”, sempre della durata di un anno, ma rinnovabile se persiste la condizione di partenza), per “contingente ed eccezionale calamità naturale” che non consenta il rientro nel Paese di origine in condizioni di sicurezza (art. 20 bis: della durata di sei mesi, rinnovabile per altri sei, il permesso consente l’esercizio di attività lavorativa ma non è convertibile in un ordinario permesso per motivi di lavoro); infine, per “atti di particolare valore civile”, di durata biennale, che consente studio e/o lavoro, ed è rinnovabile e convertibile in permesso di lavoro subordinato od autonomo.
Della precedente disciplina sono stati invece conservati i permessi per “casi speciali” di cui all’art. 18 del TU Stranieri: per “protezione sociale”, per le vittime di violenza domestica o di particolare sfruttamento lavorativo, tutti convertibili in permessi di lavoro ordinari.
Il supremo giudice evidenzia anzitutto la mutata ratio legislativa: sostituire al precedente permesso umanitario fondato sulla clausola generale dei “seri motivi di carattere umanitario” da individuare secondo un catalogo aperto, la predeterminazione delle ipotesi di riconoscimento dei c.d. “permessi speciali”, fortemente conformati, con un sostanziale effetto limitativo.
Al fine di verificare l’applicabilità dello ius superveniens al caso in decisione, la Corte precisa che tutto il sistema pluralistico di protezione (comprensivo delle protezioni maggiori, ma anche di quelle minori, come la protezione umanitaria ed oggi i permessi per casi speciali) ha copertura nel diritto costituzionale di Asilo, che è diritto soggettivo perfetto, da cui discende la natura meramente ricognitiva, e quindi dichiarativa, dell’accertamento giurisdizionale.

Fermo il principio di irretroattività della legge ex art. 11 delle preleggi del codice civile (che come noto non gode invece di copertura costituzionale) ed in assenza di una espressa disciplina intertemporale che preveda l’applicazione delle nuove norme ai giudizi in corso, la decisione dovrà sul piano sostanziale riferirsi al vecchio regime, con l’unico limite (ex art. 1 comma 9 d.l. n. 113/2018) - in caso di accertamento positivo del diritto - di non poter più utilizzare la denominazione  “permesso di soggiorno per motivi umanitari”  (in quanto tipologia di permesso non più sussistente).

L’art. 11 delle preleggi fa salvi, infatti, non solo i rapporti giuridici esauriti (diritti quesiti), ma anche quelli in vita (situazioni giuridiche soggettive in corso di accertamento), laddove la nuova disposizione modifichi il fatto generatore del rapporto o le sue conseguenze giuridiche, attuali o future (quando cioè intervenga una modifica della disciplina giuridica del fatto stesso).
Essendo, quindi, la situazione soggettiva di protezione internazionale o sussidiaria invocata dallo straniero un diritto soggettivo perfetto, e l’accertamento giudiziale meramente ricognitivo, la nuova normativa non è applicabile perché incide sull’individuazione del fatto generatore del diritto e sui suoi effetti.
Per la Corte il diritto soggettivo alla protezione dello straniero, nel caso in esame, preesiste alla nuova norma essendo sorto sotto il vigore della precedente disciplina, e da questa resta regolato.

Peraltro, sottolinea il giudice di legittimità, anche il diritto dell’Unione Europea relativo all’accertamento dello status di protezione internazionale attribuisce valore ricognitivo al relativo procedimento amministrativo o giurisdizionale: condizionare l’esito del giudizio alla durata dell’accertamento del diritto stesso, viola i principi di parità di trattamento e di certezza del diritto. La posizione giuridica del richiedente deve quindi essere sempre valutata con riferimento al momento di proposizione della domanda.

Conclude, quindi, la Corte che alla situazione del cittadino straniero dovrà essere applicata la vecchia formulazione dell’art. 5 T.U. Stranieri, ma il permesso rilasciato dal Questore dovrà comunque essere ricondotto ad una delle ipotesi attualmente previste dalle norme vigenti.
Nel caso di specie il ricorso è stato comunque rigettato, perché non sono state rinvenute le condizioni di vulnerabilità prospettate dal richiedente: incensurabile sul punto la pronuncia del giudice di merito.
Questo il principio di diritto affermato:
"La normativa introdotta con il d.l. n. 113 del 2018, convertito nella legge n. 132 del 2018 , nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dall’art. 5 comma 6 del dlgs 286 del 1998 e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5.10.2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione. Tuttavia in tale ipotesi, all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dei presupposti esistenti prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, convertito nella legge n. 132 del 2018, farà seguito il rilascio da parte del Questore di un permesso di soggiorno contrassegnato dalla dicitura “casi speciali” e soggetto alla disciplina e all’efficacia temporale prevista dall’art. 1 comma 9 di detto Decreto legge”.
 

 

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