La Corte di Cassazione si pronuncia sulla distinzione tra transazione divisionale, divisione transattiva e negozio preparatorio di divisione

Con l’ordinanza 8240/2019, depositata il 22 marzo 2019, la Corte di Cassazione ha affrontato un tema molto delicato relativo alla distinzione tra transazione divisionale, divisione transattiva e negozio preparatorio di divisione, con i conseguenti riflessi in termini di rimedi ed azioni esperibili.

IL CASO. Tizio conveniva in giudizio i fratelli Caio, Mevio e Sempronio per ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria relativamente a tre beni immobili: un locale adibito a forno di panificazione, un appartamento ed un locale garage. L’attore chiedeva l’attribuzione in natura dei beni in conformità ad una scrittura privata sottoscritta il 15.1.1999, con imputazione dei conguagli dovuti, previa determinazione del valore locativo dei beni.

Si costituivano Mevio e Sempronio, i quali eccepivano che, in base alla scrittura privata del 15.1.1999, si era già proceduto alla divisione dei beni e la condizione della voltura della licenza si era realizzata, chiedendo, in via riconvenzionale, l’esecuzione ex art. 2932 c.c. della suddetta scrittura privata.

I Giudici di primo grado dichiaravano inammissibile la domanda riconvenzionale dei convenuti, che la riproponevano con atto di citazione introduttivo di un nuovo giudizio.

Nell’ambito di quest’ultimo, Tizio proponeva a sua volta domanda riconvenzionale condizionata di rescissione della divisione per lesione oltre il quarto in considerazione dell’evidente sproporzione delle quote di cui alla scrittura privata azionata dai fratelli ex art. 2932 c.c..

Il Giudice di primo grado, riuniti i due giudizi, dopo l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, dichiarava lo scioglimento della comunione ereditaria tra le parti, assegnando in proprietà indivisa a Mevio e Sempronio l’unità immobiliare del locale commerciale con annesso forno, in proprietà esclusiva a Tizio l’appartamento ed in proprietà esclusiva a Caio il locale garage. Condannava altresì i condividenti al pagamento dei relativi conguagli. Inoltre, in accoglimento della domanda riconvenzionale di Tizio, dichiarava la rescissione per lesione della divisione effettuata tra i fratelli con la scrittura privata 15.1.1999.

Avverso la suddetta sentenza Mevio e Sempronio proponevano appello.

La Corte d’appello, in riforma dell’impugnata sentenza, assegnava alle parti proprietarie gli immobili secondo la scrittura privata 15.1.1999, senza conguagli.  I Giudici di secondo grado ritenevano inammissibile l’azione di rescissione proposta da Tizio, in quanto l’atto del 15.1.1999 costituiva una transazione divisionale e non una divisione transattiva.

La decisione della Corte si basava sulla giurisprudenza di legittimità secondo la quale la distinzione tra transazione divisionale e divisione transattiva si fonda sulla consapevolezza delle parti della differenza delle attribuzioni patrimoniali o delle quote. E, dunque, quando non si sia proceduto al calcolo delle porzioni corrispondenti, si è in presenza di una transazione divisionale non soggetta a rescissione. Dall’esame della scrittura privata 15.1.1999, secondo i Giudici di secondo grado, emergeva chiaramente che i beni, per la loro natura e destinazione, fossero manifestamente di diverso valore e che tale diversità era nota a tutti gli eredi, tra loro fratelli, che avevano stipulato l’atto. Pertanto, secondo la Corte d’appello, poteva ragionevolmente escludersi che vi fosse una inconsapevole sproporzione della ripartizione dei beni e, in tale contesto, l’esclusione della previsione di un conguaglio in denaro era confermativa della natura di transazione divisionale dell’atto, il cui effetto transattivo si era realizzato in virtù della scrittura privata.

LA SENTENZA. Tizio proponeva ricorso per Cassazione. Col primo motivo di ricorso, che è quello che interessa in questa sede, impugnava la qualificazione giuridica data alla scrittura privata, qualificata dalla Corte d’appello come transazione divisionale. Secondo l’attore si trattava di un progetto di divisione, non ancora compiuto in tutti i suoi elementi costitutivi.

Secondo il ricorrente, dall’esame della scrittura privata del 15.1.1999, si desumeva che questa era finalizzata, oltre che all’attribuzione dei cespiti, alla regolarizzazione della licenza necessaria per il lecito esercizio dell’attività di panificazione nei locali adibiti a forno, alla cui risoluzione era condizionato l’intero assetto di interessi in essa disciplinata.

La difesa di Tizio evidenziava che, non avendo egli ricevuto alcuna donazione o altra forma di liberalità, né prima della morte del de cuius, né successivamente, a seguito della divisione, non sussisteva alcuna valida ragione da parte sua per accettare una così evidente disparità di trattamento, se non quella dettata dal rapporto affettivo tra i fratelli e dal fatto che intendeva agevolare il lecito esercizio all’attività del forno, fatti salvi i dovuti conguagli.

In sostanza, l’impegno del 15.1.1999 doveva garantire a Mevio e Sempronio l’attribuzione dei locali in cui esercitavano l’attività di panificazione e all’altro fratello Caio l’appartamento che aveva ristrutturato. Il ricorrente, in buona fede, aveva accettato di sottoscrivere l’atto, fatti salvi i relativi conguagli. Mancava pertanto la volontà di definire in via transattiva la vicenda divisionale, circostanza questa che la Corte d’appello stessa omesso del tutto di valutare.

La Corte Suprema ha affermato che la vicenda doveva essere esaminata alla luce dei principi dettati dall’ordinamento in tema di interpretazione del contratto.

Secondo gli Ermellini, la Corte territoriale aveva posto l’accento esclusivamente sulla sproporzione del valore dei beni, affermando che questa era talmente evidente da essere necessariamente nota agli eredi: poiché il discrimen tra la transazione divisionale e la divisione transattiva risiede appunto nella sproporzione dei beni, l’atto stipulato non poteva che essere qualificato come transazione divisionale.

Secondo i Giudici della Suprema Corte, la Corte territoriale non aveva però fatto corretta applicazione dell’art. 1362 e ss. c.c. così violando, nell’interpretazione del contratto, il criterio letterale e quello del comportamento delle parti, anche successivo al contratto, criteri che concorrono in via paritaria a definire la comune volontà dei contraenti.

La Corte territoriale, in particolare, aveva errato nel valutare la sola alternativa secca tra divisione transattiva e transazione divisionale, senza considerare ipotesi terze, quali il negozio preparatorio di divisione.

Con riferimento al criterio letterale, la Suprema Corte ha rilevato che nella scrittura privata 15.1.1999 non si rinveniva alcuna espressione volta a manifestare la volontà di risolvere in via transattiva l’insorgere di future controversie aventi ad oggetto la divisione ereditaria. Emergeva, invece, la volontà di procedere alla divisione con una preliminare assegnazione dei beni oggetto della comunione in relazione alle personali aspettative, come è naturale tra fratelli, senza alcuna animosità o litigiosità.

Inoltre, la Corte d’appello aveva omesso di valutare pure il fatto che non era stata effettuata alcuna stima dei beni, ciò che induceva a ritenere mancante l’intento transattivo.

Risultava inoltre violato l’ulteriore criterio ermeneutico relativo al comportamento delle parti, in quanto il complessivo comportamento dei fratelli deponeva nel senso che la loro reale volontà al momento della stipula della scrittura privata del 15.1.1999 non fosse quello di porre fine alla comunione ereditaria, risolvendo definitivamente eventuali future controversie, quanto quello di formalizzare un accordo preparatorio della divisione. Oltre alla mancata stima, alla mancata indicazione dei valori dei beni, alla mancata manifestazione alla volontà di transigere, si rinviava infatti ad un atto da stipularsi avanti il Notaio dopo l’avverarsi della condizione relativa alla voltura della licenza di panificazione.

Tant’è che gli stessi Mevio e Sempronio in primo grado avevano agito in giudizio ex art. 2932 c.c., intendendo quindi l’atto da loro sottoscritto come un accordo preliminare di divisione.

Continua la Suprema Corte affermando che gli accordi cd. paradivisori, volti alla formazione di porzioni di beni da assegnare a determinate condizioni, pur non producendo l’effetto distributivo dei beni stessi tipico del contratto di divisione, hanno finalità preparatorie di quest’ultimo. Secondo la giurisprudenza di legittimità, una volta perfezionati, possono essere revocati o risolti solo con il consenso unanime delle parti contraenti, e possono essere impugnati con i mezzi di annullamento previsti per i contratti in genere. Deve quindi ammettersi anche la loro rescindibilità ex artt. 763 e 764 c.c. per lesione oltre il quarto.

Osserva poi la Corte che, se l’elemento discriminante per individuare la causa transattiva del negozio fosse esclusivamente la proporzionalità dei beni, risulterebbe sempre preclusa la rescissione per lesione oltre il quarto, che presuppone una sproporzione della quale la parte difficilmente potrebbe rivendicare l’inconsapevolezza.

In conclusione, essa ha affermato il seguente principio di diritto:

“Ai fini dell’interpretazione di un negozio come transazione divisionale, nel quale la causa transattiva prevale su quella divisionale, non è possibile presumere la volontà di transigere  con rinuncia ai propri diritti, sulla base della semplice consapevolezza della sproporzione delle quote o dei beni indicati nell’accordo divisorio, in mancanza non solo dell’aliquid datum aliquid retentum, ma anche di un mero disaccordo tra gli eredi e di qualsiasi espressa rinuncia o menzione della volontà di comporre future controversie”.

 

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