L’incapacità di elaborare un progetto di vita “credibile” per i figli e l’incertezza sui tempi di recupero delle capacità genitoriali possono portare alla dichiarazione di adottabilità

IL CASO. La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza n. 3/2019, respingeva gli appelli proposti da due genitori avverso la sentenza che aveva dichiarato lo stato di adottabilità dei loro figli, rilevando la assoluta assenza di progettualità degli stessi, incapaci di far fronte alla “situazione di degrado morale e materiale riscontrata”, nonché il loro rifiuto di avvalersi dell’aiuto di terzi e la mancanza di qualsiasi apporto da parte della nonna materna. 

Avverso la pronuncia della Corte territoriale i genitori proponevano ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, denunciando: l’omessa valutazione di un fatto decisivo, consistente nelle relazioni della consulente di parte; la violazione o falsa applicazione degli artt. 1, 7 e 8 della l. 184/1983 (tanto perché la Corte d’appello non aveva preso atto della mancata adozione delle misure ritenute necessarie per favorire il rientro dei minori nella propria famiglia, quanto per la non attualità degli elementi su cui si fondava la sentenza); la violazione o falsa applicazione degli artt. 130 e 133 D.P.R. 115/2002 per aver posto a carico dei genitori il pagamento delle spese processuali senza considerare il fatto che fossero stati ammessi al gratuito patrocinio; la violazione dell’art. 130 del d.P.R. 115/2002 per omesso esame della richiesta di liquidazione del compenso da parte della CTP e del d.m. 55/2014 quanto alla liquidazione del difensore dei genitori. 

LA DECISIONE. La Suprema Corte, con sentenza n. 11342 depositata in data 12.6.2020, ha rigettato il ricorso ritenendolo in parte inammissibile e comunque nel suo complesso infondato.

Esaminati congiuntamente i primi tre motivi, in quanto connessi, la Suprema Corte ha anzitutto rilevato, con riguardo ai dedotti vizi di violazione o falsa applicazione di legge, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione di tale vizio,  miri in realtà ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito. Con riguardo, invece, all’omessa valutazione di un fatto decisivo, la Corte ha rilevato che “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio  di omesso esame di un fatto decisivo censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n.5, qualora il fatto storico rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Con particolare riferimento al lamentato omesso esame di alcuni dati (ad esempio la consulenza di parte e alcune fotografie), senza che i ricorrenti ne avessero tuttavia dimostrato la decisività rispetto alla valutazione globale della storia familiare, la Cassazione ha rammentato che

“il prioritario diritto dei minori a crescere nell’ambito della loro famiglia di origine non esclude la pronuncia della dichiarazione di adottabilità quando, nonostante l’impegno profuso dal genitore per superare le proprie difficoltà personali e genitoriali, permanga tuttavia la sua incapacità di elaborare un progetto di vita credibile per i figli e non risulti possibile prevedere con certezza l’adeguato recupero delle capacità genitoriali in tempi compatibili con l’esigenza dei minori di conseguire una equilibrata crescita psico-fisica”.

Quanto ai motivi riguardanti gli aspetti delle spese giudiziali, la Suprema Corte ha precisato che:
- le spese che la parte ammessa al gratuito patrocinio sia condannata a pagare all’altra parte risultata vittoriosa non vengono addossate allo Stato;
- solo il consulente di parte può dolersi dell’omesso esame dell’istanza di liquidazione del proprio compenso, utilizzando i rimedi previsti dal d.P.R. 115/2002;
- lo strumento di impugnazione del provvedimento di liquidazione del compenso del difensore emesso contestualmente al provvedimento che definisce il giudizio è quello previsto dal d.P.R. 115/2002, al quale è legittimato unicamente il difensore stesso.

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