Sottrazione internazionale di minore: il giudice chiamato a pronunciarsi sull’ordine di rientro non può valutare quali siano le migliori condizioni di affidamento del minore, né decidere in merito

IL CASO. Adito da un padre che denunciava l’illecita sottrazione internazionale del figlio minore da parte della madre, il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta respingeva il ricorso, evidenziando come “benché la madre abbia ammesso di aver deciso di rimanere in Italia con il figlio A. senza consenso del padre, tuttavia, la permanenza del minore con la madre sul territorio dello Stato appare del tutto conforme al superiore interesse del minore, a fronte di una elevata probabilità che lo stesso possa essere esposto, per il fatto del rimpatrio, al grave concreto rischio di subire un danno fisico o psichico (…) o passa trovarsi in una situazione comunque intollerabile”.
A fondamento della decisione, il Tribunale siciliano evidenziava come, dagli accertamenti effettuati dai servizi sociali, fosse emerso che la vita familiare e di coppia nel luogo di residenza abituale della famiglia fosse caratterizzata da gravi comportamenti aggressivi e minacciosi tenuti dal padre nei confronti della madre alla presenza stessa del piccolo, che impedivano alla donna di dare il proprio apporto ad una sana, serena ed equilibrata crescita del figlio e risultavano, dunque, forieri di un grave pregiudizio per il minore.
Constatato, inoltre, come il piccolo risultasse sereno e ben accudito dalla madre in Italia, il Tribunale adito ne disponeva l’affidamento temporaneo ed il collocamento prevalente presso quest’ultima.
Avverso tale decisione ricorreva per cassazione il padre, proponendo tre motivi di censura.
Col primo, lamentava che il Tribunale avesse attribuito piena efficacia probatoria alla relazione dei servizi sociali – che era fondata unicamente sulle dichiarazioni rese dalla madre del minore – e non avesse, al contrario, tenuto in alcuna considerazione la ulteriore relazione del U.O.C.A.M.I.T., che era invece basata sull’osservazione di entrambi i genitori nel rapporto col bambino.
Col secondo, censurava il decreto per essersi pronunciato sull’affidamento temporaneo del minore e sul suo collocamento, così violando l’art. 16 della Convenzione dell’Aja 25.10.1980, che vieta al giudice dello stato di trasferimento di deliberare nel merito dei diritti di affidamento.
Da ultimo, lamentava come delle evidenze probatorie non si evincesse alcun grave e concreto rischio di danno psicofisico per il minore in ipotesi di rimpatrio nel luogo di residenza abituale.

LA DECISIONE. Con ordinanza n. 15714/2019, la Corte di Cassazione, ritenendo fondati tutti i motivi di impugnazione proposti dal padre, accoglieva il ricorso e cassava il decreto impugnato con rinvio al giudice di primo grado.
Ad opinione degli ermellini, infatti, il giudice di merito aveva errato sia nel ritenersi libero di sindacare discrezionalmente l’opportunità del minore di rimanere con la madre presso il luogo di trasferimento, sia nel pronunciarsi sull’affidamento del piccolo, e ciò in quanto

“in presenza di sottrazione internazionale di minore non spetta al giudice del luogo presso cui il minore è trasferito valutare quali siano, per lui, le migliori condizioni di affidamento: la sottrazione internazionale è esecrabile condotta che all’ordinamento ripugna ed alla quale va immediatamente posto rimedio ripristinando lo status quo ante, salvo non vi sia l’evidenza delle contro indicazioni normativamente considerate”.

Anche sotto il profilo motivazionale, peraltro, la decisione di primo grado è stata ritenuta viziata dalla Suprema Corte, per aver attribuito pieno valore probatorio alle dichiarazioni rese dalla madre ai servizi sociali in merito alle asserite violenze perpetrate dal padre del minore – e ciò senza che venisse compiuto alcun accertamento circa la concreta aggressività dell’uomo – e per aver, conseguentemente, tratto da tali indimostrate asserzioni la conclusione che il minore stesso non potesse fare ritorno nel luogo di residenza abituale.

 

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