COVID-19, Giustizia, diritto di famiglia e delle persone nelle Corti del Settentrione (e non solo)

Della frenetica produzione di decreti, regolamenti, circolari emanati negli ultimi due mesi con l’obiettivo di arginare la diffusione del Covid 19, la norma che ha suscitato il dibattito più acceso tra gli operatori del diritto di famiglia è sicuramente l’art. 83 del DL 17 marzo n° 18.

Com’è noto, questa disposizione ha stabilito in via generale la sospensione dei termini dei procedimenti civili e penali e il rinvio delle udienze, ma ha introdotto una serie di deroghe per le questioni che evidentemente il legislatore riteneva dovessero essere trattate senza dilazioni per la loro intrinseca delicatezza e urgenza.

Per i procedimenti civili le deroghe sono indicate al terzo comma lettera a), che contiene, fra l’altro, un elenco non proprio chiarissimo di fattispecie riconducibili a diritti della famiglia e dei soggetti deboli o vulnerabili e, a chiusura, “tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti”, con la previsione che “in quest’ultimo caso la dichiarazione d’urgenza è fatta dal capo dell’ufficio giudiziario o del suo delegato in calce alla citazione o al ricorso, con decreto non impugnabile e per le cause già iniziate, con provvedimento del giudice istruttore o del presidente del collegio, egualmente non impugnabile”.

Tra le deroghe elencate le “cause relative ad alimenti o ad obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità”, espressione che ricalca esattamente l’art. 1,1 del Reg.U.E. 4/ 2009 e che pacificamente ricomprende tutti gli obblighi di mantenimento nei confronti dei figli e del coniuge. Che questo dovesse essere il perimetro dell’esclusione dal rinvio indiscriminato è confermato proprio dalla relazione illustrativa del D.L. 18/ 2020, che esplicitamente richiama il Regolamento e l’interpretazione comunitaria che ne è stata data.

Ciò nonostante, moltissime Corti d’appello e moltissimi Tribunali si sono affrettati, attraverso percorsi diversi, a dare della disposizione appena richiamata un’interpretazione molto restrittiva, secondo la quale l’eccezione alla sospensione varrebbe soltanto per le cause alimentari rientranti nella previsione dell’articolo 433 e seguenti del codice civile.

L’impressione che si ricava, leggendo questi provvedimenti, è che i dirigenti degli Uffici, salvo rare eccezioni, abbiano ritenuto di poter amministrare la giustizia nella fase dell’emergenza solo impedendo ai cittadini di rivolgersi ai Tribunali.

L’esame dei provvedimenti “organizzativi” che alleghiamo, raccolti dai Siti dei Tribunali e delle Corti d’appello del Settentrione (Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Pisa, vedremo poi perché), rivela, oltre ad una mancanza di sistematicità di ciascuno di essi e di coordinamento del loro insieme, che il risultato pratico cui pervengono, in un modo o nell’altro,  è la paralisi pressoché totale della trattazione delle cause per le quali il legislatore, in realtà, aveva ritenuto di ravvisare il requisito dell’urgenza.

Col senno di poi è inevitabile concludere che, specie per ciò che attiene ai diritti delle persone ed al diritto di famiglia, sarebbe stato preferibile che il Ministero emanasse delle linee guida vincolanti per l’organizzazione dei singoli Uffici, in modo da produrre provvedimenti simili nella struttura e nel dettaglio e garantire la trattazione delle cause che l’art. 83 intendeva sottrarre ai rinvii.

Invece, ci si trova in presenza di provvedimenti a volte assai corposi e dettagliati, ma, nella sostanza, diretti ad argomentare l’interpretazione più restrittiva possibile della suddetta disposizione.

In alcuni casi, dapprima si è addirittura disposto che non si svolgesse alcuna attività di udienza e si è persino vietato qualunque deposito di atti di parte, stabilendo che questi venissero respinti dalle cancellerie, consentendo solo in un secondo momento una loro lenta riapertura.

In altri casi, dapprima si è interpretata la nozione di “alimenti” in senso restrittivo e solo in un secondo momento si aperto ad una sua interpretazione conforme al Regolamento UE.

Da questa panoramica emergono dati di fatto che pongono più di qualche interrogativo, come la scoperta che sotto il profilo tecnologico, in realtà, erano già pronti i mezzi e gli strumenti per celebrare le udienze in modalità telematica, ma di questi si è deciso di profittare, quasi con riluttanza, solo a causa dell’emergenza imposta dall’attuale situazione.

Fa piacere, invece, constatare che, in questo scenario, due magistrate, la Presidente del Tribunale di Padova e quella del Tribunale di Pisa, si siano distinte per aver dettato una linea d’azione diametralmente opposta a quella sin qui descritta.

La prima, nonostante la Corte d’appello di Venezia, nel tentativo di uniformare le diverse interpretazioni date dai singoli Tribunali ordinari, avesse scelto una lettura restrittiva della norma citata, ha preferito insistere nella posizione che aveva assunto sin dall’inizio, interpretando la nozione di “alimenti” nel senso attribuitole dal Regolamento europeo.

La seconda, andando oltre e dando prova di grande capacità organizzativa, ha emesso un provvedimento quanto mai chiaro, nel quale per un verso ha elencato le materie la cui trattazione deve intendersi sottratta alla sospensione e per l’altro ha specificato le modalità di svolgimento delle singole tipologie di udienza in forma “dematerializzata” o “in presenza” dei difensori e di altri soggetti, dando così una dimostrazione pratica di come fosse possibile mitigare l’impatto delle misure emergenziali ed evitare la  paralisi di ogni attività in una materia già afflitta da fin troppi ritardi.

Si noti che, nel suo provvedimento, la Presidente pisana ha pure invitato il Consiglio dell’ordine degli avvocati a collaborare, suggerendo ai propri iscritti di segnalare le cause più urgenti e delicate.

Con l’intento collaborativo nei confronti della Magistratura che da sempre ci contraddistingue, condividendone le preoccupazioni e le difficoltà anche in un momento così difficile come l’attuale, ci sentiamo di additare ad esempio il provvedimento della Presidente Civinini, sottolineando l’organicità ed efficacia del suo approccio organizzativo e l’ampia motivazione che lo sorregge.

Così come consigliamo la lettura del suo scritto che parimenti alleghiamo, affidando alla comune riflessione le parole con le quali l’Autrice conclude il suo dire:

Mi consento una digressione personale.
Io una terra senza giustizia l’ho vista.
Era (e purtroppo è ancora) Mitroviza Nord, nel Kosovo settentrionale, una terra contesa tra Serbia e Kosovo.
Quando, Presidente dei giudici europei nella Missione Eulex, sono entrata per la prima volta nella Corte distrettuale di Mitroviza, sfollata e occupata per mesi dai militari Kfor, ho visto e toccato cos’è un Paese senza giustizia. Sacchi di sabbia contro le finestre coi fascicoli per supporto, fascicoli (le vite delle persone) ammassati come beni inutili, le persone che per anni e anni non possono divorziare, riavere la loro terra, essere ripagati di un debito, i criminali che si muovono liberamente.
Vivere una crisi umanitaria non può portarci a vivere senza giustizia
”.

 

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