Divorzio e prova della riconciliazione dei coniugi

IL CASO. Il Tribunale di Trani dichiarava, con sentenza non definitiva, lo scioglimento del matrimonio dei coniugi, riscontrando che dalla omologazione della separazione consensuale erano decorsi tre anni senza che fra i due fosse intervenuta riconciliazione, respingendo così l’eccezione in tal senso sollevata dalla moglie.

La Corte di Appello di Bari, avanti a cui la moglie aveva impugnato la decisione di primo grado, respingeva l’impugnazione, ritenendo che il Tribunale avesse correttamente rigettato le istanze istruttorie da costei formulate, in quanto “generiche ed irrilevanti al fine di provare il ripristino della comunione di vita e di intenti integrativa della riconciliazione e non una mera ripresa occasionale della coabitazione”.

Avverso tale decisione, ricorreva in Cassazione la signora lamentando che, avendo ella contestato la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, prima di pronunciare lo scioglimento del matrimonio con sentenza non definitiva, avrebbe dovuto concedere alle parti i termini per il deposito delle memorie ex art. 190 c.p.c.  

LA DECISIONE. Respingendo l’impugnazione, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 20393 del 05.02.2019, riportandosi a giurisprudenza ormai consolidata, ha ribadito che

“in forza dell'art. 157 c.c., gli effetti della separazione personale, in mancanza di una dichiarazione espressa di riconciliazione, cessano soltanto col fatto della coabitazione, la quale non può, quindi, ritenersi ripristinata per la sola sussistenza di ripetute occasioni di incontri e di frequentazioni tra i coniugi, ove le stesse non depongano per una reale e concreta ripresa delle relazioni materiali e spirituali costituenti manifestazione ed effetto della rinnovata società coniugale”.

La parte che intende far accertare l’avvenuta riconciliazione con il coniuge al fine di opporsi alla pronuncia di divorzio ha l’onere di fornirne piena ed incontrovertibile prova e dunque la ricorrente avrebbe dovuto allegare una rinnovata società coniugale inveratasi in una reale coabitazione e non essendo sufficienti a tal fine mere occasioni di incontro e frequentazione tra i coniugi.

Nel caso di specie, le prove dedotte dalla moglie erano state ritenute sia in primo che secondo grado non idonee a provare in modo certo e non controvertibile la riconciliazione fra i coniugi. La valutazione espressa dai Giudici di merito, supportata da motivazione adeguata ed esaustiva, non poteva essere oggetto di sindacato in sede di cassazione.

Dal punto di vista processuale, spiega la Suprema Corte che nel processo di divorzio viene “…in rilievo la disciplina speciale di cui all’art. 4 della legge 1 dicembre 1970 n. 898 (come modificato dall’art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74) volta da accelerare la procedura di accertamento dei presupposti dello scioglimento e della cessazione degli effetti civili del matrimonio, al fine di impedire le condotte defatigatorie ed ostative del convenuto, ed in virtù della quale è riservata al giudice istruttore la possibilità di rimettere la causa al collegio per l’emissione della sentenza non definitiva relativa allo “status” quando la causa debba proseguire per la determinazione dell’assegno…”.

In quest’ottica, aggiunge la Corte, che la lamentata mancata assegnazione dei termini per il deposito di comparse conclusionali “… richiede la allegazione del pregiudizio derivato da tale mancata assegnazione e la prova in concreto della lesione del diritto di difesa, essendo altrimenti il gravame inammissibile per difetto di interesse”.

 

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