La Cassazione ribadisce ancora la funzione “tripartita” dell’assegno divorzile

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 6982, depositata in data 11 marzo 2020, consolida i principi espressi dalle Sezioni Unite in materia di assegno divorzile, ribadendo la funzione “tripartita” di tale emolumento economico.

Il Tribunale di Campobasso aveva respinto la richiesta di modifica dell’importo dell’assegno divorzile di euro 450,00 a favore della moglie e a carico del marito, concordato in sede di ricorso congiunto di matrimonio. La Corte di Appello di Campobasso, con decreto in data 06.12.2017, aveva confermato la pronuncia.

L’ex coniuge onerato dall’assegno aveva, quindi, proposto ricorso per Cassazione, denunciando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 5, commi 6 e 9, L. 898/1970, ritenendo che il giudice territoriale non avesse tenuto conto “della situazione economica delle parti e conseguente sproporzione delle rispettive posizioni reddituali nonché dell’impossibilità per il ricorrente di mantenersi con il solo importo di 450,00 euro mensili che residua dopo il pagamento del mutuo immobiliare di 360,00 euro circa e di euro 450,00 versati alla moglie come stabilito in sede di divorzio congiunto, considerato che non disponeva di alcuna fonte di sostentamento. Al contrario, l’ex coniuge prima disoccupata, beneficiaria dell’assegno di 450,00 euro, presta ora attività lavorativa come badante con retribuzione mensile di euro 500,00”.

Con il secondo motivo l’ex marito aveva poi censurato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, sostenendo che il giudice territoriale non avesse tenuto conto del nuovo matrimonio che aveva contratto.

La Corte di Cassazione ha respinto il gravame, rilevando che “la decisione impugnata ha preso in considerazione la situazione economica delle parti ed in particolare la nuova attività lavorativa della moglie”; tale circostanza, infatti, secondo la Corte, non risultava essere stata trascurata dal giudice territoriale, che aveva lasciato immutato l’assegno divorzile, “pur tenendo conto del sopravvenuto reddito mensile della moglie di euro 500,00”.

L'ordinanza non precisa in che termini la sentenza impugnata avrebbe valutato tale fatto sopravvenuto, ai fini di ritenerlo inidoneo a motivare la modifica dell'assegno, ma si limita a rinviare al ben noto principio di diritto affermato dalla sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo il quale “il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.

Il Giudice di legittimità cita anche la propria ordinanza n. 21926 del 30.08.2019, che, sulla base dei medesimi principi, aveva affermato che:

L’assegno divorzile ha una imprescindibile funzione assistenziale, ma anche, in pari misura, compensativa e perequativa. Pertanto, qualora vi sia uno squilibrio effettivo, e di non modesta entità, tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, occorre accertare se tale squilibrio sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all’interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due.
Laddove, però, risulti che l’intero patrimonio dell’ex coniuge richiedente sia stato formato, durante il matrimonio, con il solo apporto dei beni dell’altro, si deve ritenere che sia stato già riconosciuto il ruolo endofamiliare dallo stesso svolto e – tenuto conto della composizione, dell’entità e dell’attitudine all’accrescimento di tale patrimonio – sia stato compensato il sacrificio delle aspettative professionali oltre che realizzata con tali attribuzioni l’esigenza perequativa, per cui non è dovuto, in tali peculiari condizioni, l’assegno di divorzio
”.

 

 

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