Il danno “da privazione della figura genitoriale” secondo il Tribunale di Matera

Con la sentenza n. 1370/2017, il Tribunale di Matera ha deciso  sulle domande di dichiarazione giudiziale della paternità e di risarcimento del danno non  patrimoniale  “da privazione della figura genitoriale” che un figlio ormai trentenne aveva proposto nei confronti del padre, lamentando una “mancanza di sostegno morale e materiale” che gli avrebbe, fra l’altro, precluso “gli studi universitari”.
A questo proposito il convenuto, che non aveva negato la paternità attribuitagli dall’attore, aveva specificamente contestato quanto questi gli addebitava, allegando d’esser stato presente nella vita del figlio e di averlo sempre sostenuto.
Sul punto la causa era stata istruita con l’escussione di contrapposte prove testimoniali, sul cui esito la motivazione della sentenza si pronuncia constatando che i testi avevano reso “dichiarazioni confliggenti”, tali da annullarsi l’un l’altra, e non così attendibili sotto il profilo oggettivo, perché “confermative degli articolati” (salva la “più analitica indicazione riferita ad una festa di nozze ed a qualche festa di compleanno e di laurea”), e neppure per quello soggettivo, essendo i testi “stretti parenti dell’una o dell’altra parte”.
Poi, però, il Tribunale afferma di poter desumere “che in via generale non vi sia stata una adeguata partecipazione” del padre alla vita del figlio, traendo tale convincimento “da alcune risposte più specifiche date dai testi”, delle quali tuttavia non precisa in alcun modo il contenuto.
Dopo aver ricordato che la domanda attorea riguardava esclusivamente i danni non patrimoniali “da c.d. “illecito endofamiliare”… sussumibili nell’alveo... [dell’] art. 2059 c.c.”, la sentenza accerta quindi la sussistenza della “mancanza di adeguato sostegno nei confronti del figlio”, sul presupposto che non erano “emersi dall’istruttoria elementi idonei in tal senso, e tali da poter conseguire l’infondatezza delle doglianze dell’attore” e, ancora, che “gli sporadici episodi di contatto, quali desumibili da quanto riferito da alcuni testi…, non consentono di ritenere ravvisabili sufficienti riscontri in ordine alla partecipazione e seguito del genitore alla vita del figlio”.

La sentenza dei giudici materani, pertanto, dopo aver pronunciato la dichiarazione di paternità domandata dall’attore, ha condannato il convenuto al risarcimento del danno (€ 20.000), liquidandolo equitativamente, sulla base di articolare argomentazioni, nelle quali fa capolino, fra le altre, l’affermazione di voler procedere ad un’”applicazione conformata al caso di specie delle tabelle milanesi”, seguendo un’indicazione che può rinvenirsi in una nota sentenza della Cassazione civile (n. 16657/2014).

In realtà, la decisione suscita qualche interrogativo, poiché il Tribunale si mostra assai poco convinto della concludenza delle prove testimoniali raccolte, affermando in un primo tempo la loro infruttuosità (per la scarsa attendibilità e la confliggenza delle dichiarazioni rese dai testi), salvo poi sostenere che da alcune “risposte più specifiche”, non meglio precisate, avrebbe percepito la mancanza di un’”adeguata partecipazione” del padre alla vita del figlio, e poi ancora che, invece, sarebbe stato il padre a non aver offerto “sufficienti riscontri in ordine alla partecipazione” suddetta.

La sensazione che ne trae il lettore è che, in realtà, il Tribunale abbia deciso la lite, accogliendo la domanda del figlio-attore, ritenendo che il padre-convenuto non avesse provato di esser stato sufficientemente partecipe della vita del primo e di non avergli offerto l’assistenza morale e materiale che gli competeva.

Tuttavia, quella di risarcimento del danno da illecito endofamiliare altro non è che una peculiare specie di azione aquiliana, ai fini della quale è l’attore-danneggiato ad esser onerato della prova dei fatti costitutivi del diritto che intende far valere, prima fra tutti, ovviamente, la condotta illecita che attribuisce al convenuto-danneggiante (in questo caso: l’omissione dell’assistenza morale e materiale del genitore)..

Ma, se così è, la motivazione addotta dal Tribunale materano fa sorgere il dubbio che, in realtà, questi abbia invertito senza ragione l’onere della prova, gravando indebitamente il padre-convenuto di una prova che non gli competeva ed erroneamente condannandolo al risarcimento del danno reclamato dal figlio-attore per non avervi adempiuto.  

 Ciò a tacer del fatto che le circostanze concrete riferite nella motivazione della sentenza (un padre che, pur non avendo riconosciuto il figlio, non lo aveva “rifiutato”, ma aveva mantenuto con lui effettive, seppur sporadiche, relazioni personali) suscitano qualche dubbio sul fatto che una vaga valutazione circa l’insufficienza della sua “partecipazione alla vita del figlio” potesse bastare a ritenere integrati gli estremi di un illecito civile endofamiliare…
 

Allegati

Ok
Questo website usa solamente cookies tecnici per il suo funzionamento. Maggiori dettagli