Il prelievo dal conto cointestato con il defunto non configura di per sé accettazione tacita dell’eredità

22 MARZO 2018 | Successioni e donazioni

Con l’ordinanza n. 4320/18, depositata il 22 febbraio 2018, la Corte di Cassazione, Sez. II civ., ha espresso il principio di diritto secondo cui dai prelievi eseguiti, anche dell’intero importo depositato, dal conto bancario cointestato con il defunto non può dedursi, in assenza di specifica prova, accettazione tacita dell’eredità.

IL CASO. La società Alfa citava in giudizio Caia, vedova di Tizio, per chiedere che venisse accertata l’intervenuta accettazione tacita dell’eredità del marito. A fondamento della domanda l’attrice poneva il fatto che Caia avesse attinto, mediante prelievo, anche della restante quota del 50% di proprietà del de cuius del saldo del conto all’apertura della successione.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettavano la domanda attorea. In particolare la Corte d’appello concludeva in tal senso sulla base del convincimento che “essendo il conto cointestato l’appellata poteva legittimamente operare sullo stesso, senza che fosse possibile estrapolare da tale dato alcun atto attestante in maniera inconfutabile l’acquisizione della qualità di erede”.

LA SENTENZA. La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 4320/18 ha confermato le decisioni del Tribunale e della Corte territoriale sulla base di due argomentazioni. Da una parte,

con riferimento al disposto dell’art. 1180 c.c., la Corte ricorda come, in caso di pagamento del debito del de cuius ad opera del chiamato all’eredità, per potersi configurare un’accettazione tacita dell’eredità, sia necessario che venga offerta la prova che il pagamento sia stato effettuato con danaro prelevato dall’asse ereditario (Cass. civ. n. 1634/2014).


Dall’altro lato, con riferimento al contratto di conto corrente bancario cointestato, vista la sua funzione di mero servizio di cassa per il correntista, chiarisce che non rileva chi dei titolari sia beneficiario dell’accredito o chi abbia utilizzato la somma accreditata.
Infatti, se è vero che i rapporti interni sono regolati dall’art. 1298 c.c., comma 2, in virtù del quale il debito e il credito solidale si dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente, con la conseguenza che, qualora il saldo attivo risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, l’altro non può avanzare diritti sul saldo medesimo,

nei rapporti esterni, invece, quando una certa somma è affluita sul conto, la stessa rientra nella disponibilità di tutti i correntisti, i quali, ex art. 1854 c.c., ne divengono condebitori, restando irrilevante chi dei titolari abbia beneficiato dell’accredito e chi abbia invece abbia alimentato il conto, atteso che è sufficiente, ai fini della norma suddetta, che avesse titolo per compierle.


Si aggiunga, inoltre, che, nel corso dell’azione di accertamento della qualità di erede, l’onere probatorio dell’accettazione è a carico di chi agisce in giudizio contro il chiamato.
Pertanto, la Corte di Cassazione ha concluso nel senso che,

in assenza di prova specifica del fatto che i versamenti che hanno condotto al saldo, al netto dei prelevamenti, siano stati eseguiti dal de cuius con proprio denaro, il prelievo da parte del cointestatario-chiamato all’eredità anche della metà del conto in astratto spettante al de cuius, non è sufficiente a far emergere che detto prelievo abbia rappresentato un atto che il chiamato non avrebbe avuto il diritto di fare se non nella qualità di erede.

 

 

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