Quid juris se il coerede ha goduto in via esclusiva di un immobile rientrante nel relictum?

13 GIUGNO 2019 | Successioni e donazioni

Con l’ordinanza n. 10349/2019, depositata il 12.4.2019, la Corte di Cassazione (Sez. II Civ.) è intervenuta sul tema relativo al godimento esclusivo che un coerede abbia avuto di un bene del de cuius in epoca antecedente l’apertura della successione.

IL CASO. Tizio conveniva in giudizio il fratello Caio, per procedere allo scioglimento della comunione ereditaria derivante dalla morte della madre. La de cuius aveva disposto delle proprie sostanze con testamento pubblico, con il quale aveva assegnato la sua quota, pari a 4/6, di un immobile in comunione con i due figli (per 1/6 ciascuno) a Tizio ed i 2/3 di un dossier titoli a Caio, disponendo la divisione dei restanti beni al 50% tra i due figli.
Caio si costituiva contestando la fondatezza della domanda del fratello ed, in via riconvenzionale, chiedeva dichiararsi (oltre l’invalidità del testamento), la riduzione delle disposizioni testamentarie della madre in quanto lesive della quota di legittima spettantegli. Sempre in via riconvenzionale, Caio chiedeva anche la condanna del fratello Tizio alla restituzione degli importi indebitamente prelevati dal conto corrente e ricavati dal dossier titoli intestato alla defunta, oltre al pagamento di una indennità di occupazione del bene immobile in comproprietà tra la de cuius ed i coeredi (per successione del padre).
Il Tribunale, con sentenza non definitiva, rigettava la domanda di annullamento del testamento, nonché quella volta ad ottenere il pagamento dell’indennità di occupazione del bene in comunione. Con successiva sentenza definitiva dichiarava lo scioglimento della comunione ereditaria, assegnando all’attore la piena proprietà dell’immobile e determinando i conguagli tra i fratelli.
Avverso tale sentenza veniva proposto appello. Sul tema che più interessa, relativo all’occupazione esclusiva dell’immobile da parte del comproprietario Tizio, i Giudici d’appello ritenevano non condivisibile l’assunto di quelli di primo grado, che avevano disatteso la domanda di pagamento della indennità, formulata da Caio.
In relazione alla quota appartenente alla madre, la sentenza riteneva che alla luce anche delle annotazioni presenti sulle agende tenute dalla defunta e tenuto conto dei rapporti di parentela esistenti tra le parti, fosse stata offerta la prova che l’attore avesse effettivamente corrisposto un canone per l’occupazione del bene a partire dal 1974, allorquando era iniziato il godimento dello stesso. Era quindi da escludersi che sussistesse un debito dell’attore nei confronti dell’eredità.
Con riguardo, invece, alla domanda riconvenzionale del convenuto, la Corte territoriale riteneva che si fosse prescritta ogni pretesa risalente ad oltre cinque anni prima della proposizione della domanda di pagamento dell’indennità di occupazione relativa alla quota appartenente al convenuto.
Tenuto conto che la domanda era stata avanzata con la comparsa di costituzione 24.12.2003, la Corte prendeva quindi in esame solo il periodo tra il 24.12.1998 e il 7.12.2002, data di apertura della successione, liquidando un’indennità determinata in via equitativa in Euro 8.500,00.
In merito alla deduzione di Tizio secondo cui era la madre a tacitare l’altro figlio per l’occupazione esclusiva del bene anche per la quota di spettanza del fratello, la Corte d’appello osservava che detto assunto non era stato provato.
Tuttavia, anche in relazione al periodo anteriore alla maturata prescrizione (che riguardava un’epoca anteriore anche alla morte del padre e quindi un periodo nel quale l’attore non era ancora comproprietario del bene) la sentenza di appello, pur dando atto che Caio aveva riconosciuto di aver ricevuto alcune somme dalla madre, aveva concluso nel senso che non era chiaro se le stesse si riferissero al periodo in cui Tizio non era ancora comproprietario ovvero a quello successivo.
La Corte rigettava altresì la domanda di riduzione proposta da Caio, in quanto riteneva che, in virtù delle assegnazioni disposte con il testamento e delle donazioni ricevute in vita, questi aveva ottenuto beni di valore largamente superiori all’ammontare della quota di riserva pari ad 1/3.
Tizio promuoveva ricorso per cassazione.

LA SENTENZA. Per quanto qui interessa, con il terzo motivo di ricorso Tizio denunciava, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 115, 116, 228 c.p.c. e 2730, 2733 e 2737 c.c. e rilevava che erroneamente erano stati riconosciuti dei crediti in favore di Caio in relazione al godimento esclusivo dell’immobile da parte sua.
Il ricorrente richiamava la statuizione dei Giudici di appello secondo cui sarebbe stata offerta la prova dell’avvenuto pagamento dei canoni di affitto da parte di Tizio nelle mani della madre e ciò sin dal 1974, allorquando questi aveva iniziato a fruire del bene.
Tale affermazione risultava però - secondo Tizio - contraddittoria con il riconoscimento di un debito da indennizzo in favore del fratello. Infatti, pur ribadita la prescrizione del diritto di Caio di ottenere una indennità di occupazione per il periodo anteriore al 24.12.98, non si giustificava l’attribuzione di un’indennità per il periodo successivo, essendosi ritenuti provato che, anche in quel periodo, Tizio aveva versato i canoni di locazione alla madre.
Inoltre, secondo il ricorrente, sarebbe stata del tutto trascurata la portata confessoria della dichiarazione resa dal fratello Caio in sede di interrogatorio formale, laddove questi aveva ammesso di aver ricevuto dalla madre la somma di Lire 35.000.000 quale risarcimento per il fatto che l’altro fratello aveva fruito per tanti anni dell’immobile in via esclusiva.
La Corte ha ritenuto il motivo in parte qua fondato, in quanto i Giudici di appello, avevano, in sostanza, ritenuto che fosse stata offerta la prova del fatto che sin dal 1974 Tizio avesse versato nelle mani della madre una somma a titolo di canone di locazione e ciò sino alla data della sua morte.
Ne derivava che, essendo incensurata la conclusione del Giudice di appello secondo cui la pretesa di Caio di un’indennità per il periodo anteriore al 24.12.98 si sarebbe prescritta, Tizio sarebbe stato condannato a versare un’indennità di occupazione in favore del fratello per la fruizione del medesimo bene per il quale la Corte aveva ritenuto sussistente la prova che egli avesse pagato un canone di locazione in favore dell’altra comproprietaria.
Così facendo, la sentenza di secondo grado avrebbe posto a carico di Tizio una condanna al versamento di somme che in realtà aveva già corrisposto alla madre-comproprietaria per il godimento della sua quota del bene mentre costei era in vita.
La Corte ha ritenuto altrettanto fondata la censura relativa alla valutazione circa la rilevanza nella vicenda dell’ammissione da parte di Caio di aver ricevuto delle somme dalla madre.
Infatti, Caio, in sede di interrogatorio formale tenutosi il 19.2.2013, aveva riconosciuto di aver ricevuto negli anni 1991 e 1992 la somma di vecchie Lire 35.000.000 dalla madre a titolo di risarcimento per il fatto che l’atro fratello aveva fruito dell’immobile poi caduto in successione.
I Giudici d’appello, pur rilevando che si trattava di una somma ricevuta in un’epoca per la quale era operante la prescrizione della pretesa indennità, hanno però respinto la domanda di Tizio volta ad ottenere la restituzione della somma alla massa a titolo di ripetizione dell’indebito ovvero quale collazione di una donazione ricevuta dal fratello Caio, ritenendo che non era chiaro se tale donazione fosse riferibile al periodo nel quale Tizio non era ancora divenuto comproprietario del bene a seguito della morte del padre (1988) ovvero a quello successivo.
La conclusione dei Giudici d’appello è stata ritenuta dalla Suprema Corte non condivisibile in quanto, fermo restando il principio della inscindibilità dell’apprezzamento della dichiarazione confessoria espresso dall’art. 2734 c.c., la Corte di merito avrebbe dovuto adeguatamente valutare l’effettiva portata giuridica della dazione di denaro della de cuius al figlio Caio.
Esclusa la ricorrenza di un fatto illecito ed idoneo a generare una pretesa risarcitoria nella condotta di un genitore che consenta ad uno solo dei figli di poter fruire di un proprio bene e avendo in precedenza ritenuto che fosse stata offerta la prova che la madre avesse riversato al figlio Caio una somma quale quota parte dei canoni percepiti dal figlio Tizio, la stessa giustificazione addotta da Caio per tale elargizioni, imponeva alla Corte d’appello di verificare se la causa della dazione fosse da rinvenire in un intento liberale, eventualmente finalizzato ad assicurare un equilibrio tra le posizioni dei figli, con la conseguente sottoposizione della stessa al regime della collazione, ovvero se fosse priva di una valida giustificazione e causale, legittimando quindi la pretesa di Tizio di includere tale somma nel relictum.
Per questo aspetto, la sentenza di secondo grado veniva quindi cassata con rinvio ad una diversa sezione della Corte d’appello.
    

 

Allegati

Ok
Questo website usa solamente cookies tecnici per il suo funzionamento. Maggiori dettagli