Violenza sessuale: il gesto sessuale compiuto “per scherzo” non esclude il reato

La Corte d’appello di Bologna, confermando la sentenza del giudice di prime cure, ha condannato alla pena di anni due e mesi sei di reclusione un imputato che ha ritenuto colpevole del reato di violenza sessuale previsto dall’art. 609 bis c.p., riconoscendo la circostanza attenuante di cui al terzo comma della medesima disposizione.

Veniva contestato all’imputato di aver costretto con violenza una donna a subire atti sessuali, consistiti nell’essersi chinato sulla vittima e nell’averle baciato il pube, nell’essersi denudato e nell’aver tentato di abbracciarla, non riuscendo nell’intento per la resistenza della stessa.

Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, censurando l’omessa assunzione di prove decisive a dimostrare la versione difensiva dell’atto sessuale posto in essere ioci causa (per scherzo).

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in commento (Cass. pen. n. 51593/2018), ha dichiarato inammissibile il ricorso, confermando il proprio costante orientamento, secondo il quale “la condotta ioci causa non scrimina la condotta e non esclude il reato”.

La Corte, infatti, ha ribadito che,

in tema di violenza sessuale, “il gesto compiuto ioci causa o con finalità di irrisione è qualificabile come atto sessuale punibile ai sensi dell’art. 609 bis c.p., allorquando, per le caratteristiche intrinseche dell’azione, rappresenta un’intrusione violenta nella sfera sessuale della vittima” (in senso conforme, Cass. Pen. n. 1709/2015).

Alla luce dei principi espressi, gli Ermellini hanno ritenuto logica e priva di aporie la decisione della Corte territoriale, che aveva ritenuto la responsabilità dell’imputato per il delitto di violenza sessuale, dal momento che era emerso nel corso dell’istruttoria, in modo inequivocabile, che la condotta dell’imputato era finalizzata alla soddisfazione di un impulso sessuale, essendo irrilevante stabilire la sua intenzione “scherzosa”.

Con la sentenza in commento la Suprema Corte ha confermato la ratio della riforma dei reati sessuali del 1996, che è quella di tutelare maggiormente le vittime del reato di violenza sessuale, punendo ogni intrusione nella sfera sessuale della vittima, che si ha quando l’agente raggiunge le parti intime della stessa (Cass. pen. n. 17414/2016).

 

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