La Cassazione precisa che anche nel giudizio di impugnazione del riconoscimento del figlio per difetto di veridicità l’altro genitore è litisconsorte necessario

IL CASO. Il Tribunale di Genova, adito da E.G., ai sensi dell’art. 263 c.c., per sentir dichiarare invalido il riconoscimento, effettuato da G.R., del minore C.G.A.M, (rappresentato da curatore) per difetto di veridicità, rigettava la domanda ritenendo non dimostrata dall’attore l’assoluta impossibilità che il convenuto fosse il padre biologico del minore.
La Corte d’appello successivamente adita da E.G., esaminate e ritenute utilizzabili le risultanze della ctu immunogenetica prodotta dall’attore, seppur formata in altro giudizio, e condividendone le conclusioni, accertava e dichiarava invalido il riconoscimento, ritenendo provata la non compatibilità tra le caratteristiche genetiche di G.R. e quelle del minore C.D.A.M.  ed altresì provata la compatibilità, con probabilità di paternità approssimata al 99,99%, tra le caratteristiche del minore e quelle di E.G.
Ricorreva per Cassazione G.R., proponendo tre motivi di impugnazione: a) omessa integrazione del contraddittorio nei confronti della madre del minore; b) illegittimo utilizzo della prova immunogenetica disposta nel procedimento penale a carico dello stesso G.R. e dichiarata successivamente nulla dal Gup; c) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

LA DECISIONE. La Corte, dopo aver preliminarmente ribadito che il difetto di completezza del contraddittorio, non costituendo un’eccezione in senso proprio, può essere dedotta per la prima volta anche in sede di legittimità, purchè tale difetto sia già evidente dagli atti acquisiti nel giudizio di merito e che sulla questione non si sia formato il giudicato, ha accolto il primo motivo di ricorso, dichiarando assorbiti gli altri.
La Corte ha ritenuto di condividere e approfondire il principio espresso quale obiter dictum in una precedente decisione (Cass.civ. n. 1957/2016) in tema di conflitto di interessi nelle azioni di stato e tutela del minore legittimato passivo, secondo il quale la madre, o meglio il genitore, è litisconsorte necessario nel giudizio promosso dall’altro genitore ex art. 263 c.c. .
Nella fattispecie in esame, infatti, era pacifico che la madre non avesse partecipato né al primo, né al secondo grado del giudizio, non essendo mai stata citata in giudizio.
Nella motivazione, la Corte ha rilevato che, mentre la disciplina codicistica individua espressamente la madre quale litisconsorte necessario dal lato passivo dell’azione di disconoscimento, manca nel sistema una corrispondente e specifica norma per l’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, in relazione al genitore il cui riconoscimento non sia oggetto del contendere.
Pertanto, la Corte, intendendo dare continuità al proprio orientamento, ha osservato che

“Il genitore il cui riconoscimento non sia oggetto del contendere ha un rapporto consolidato non solo sotto il profilo giuridico, ma almeno tendenzialmente e di regola, anche sotto il profilo affettivo con il minore, in ragione della consuetudine di vita fino a qual momento osservata. L’acquisizione di un nuovo status del minore è idonea a determinare una rilevante modifica della situazione familiare, della quale resta in ogni caso partecipe anche l’altro genitore, alla cui posizione soggettiva può ricondursi a seconda dei casi, l’interesse o la mancanza di interesse alla bigenitorialità con il soggetto che impugna il riconoscimento, con tutto ciò che ne consegue in termini di obblighi morali e materiali verso il figlio”.

Ed ancora che alla sussistenza di un rapporto inscindibile tra lo status del minore e la discussione della genitorialità consegue che “in base all’esegesi e alla ratio della disciplina dettata dall’art. 250 c.c, se ne deve inferire un principio generale, valevole a disciplinare in modo necessariamente simmetrico ed omologo le posizioni soggettive genitoriali, in modo che possano valutarsi con i medesimi parametri tutte le ipotesi in cui si controverta della genitorialità, non essendovi motivo alcuno di differenziare la tutela, e di conseguenza la platea dei contraddittori necessari dal lato passivo, nei casi di impugnazione del riconoscimento ai sensi dell’art. 263 c.c.”.
In conseguenza, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio al primo giudice ex art. 383 terzo comma c.p.c..

 

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