Le condizioni economiche precarie in patria giustificano la protezione internazionale

Con l’ordinanza n. 11967/2020 la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto da un cittadino senegalese avverso l’ordinanza con cui la Corte D’Appello di Genova, confermando le precedenti decisioni della Commissione Territoriale e del Tribunale, gli aveva negato il diritto al riconoscimento della protezione internazionale.

In particolare l’istante aveva chiesto, in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico; in subordine il riconoscimento della protezione sussidiaria (sostenendo che il ritorno nel suo paese di origine lo avrebbe esposto ad un grave danno) e, in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Lo status di rifugiato politico viene riconosciuto a chi nel proprio paese d’origine rischia di essere perseguitato per motivi politici, religiosi, per razza, nazionalità o per appartenenza ad un determinato gruppo sociale.

Per l’art. 14 D. Lgs. n. 521/2007 i “danni gravi” che giustificano la concessione della protezione sussidiaria sono: la condanna a morte, la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel paese di origine, nonché la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Il permesso di soggiorno per motivi umanitari può essere riconosciuto allo straniero cui viene negata la protezione internazionale ma è uno strumento che non gli consente di chiedere il ricongiungimento familiare (se rilasciato successivamente all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 251/2007), né di usufruire delle prestazioni sociali, né di effettuare l’iscrizione gratuita obbligatoria al Servizio Sanitario Nazionale.

Nel caso di specie il cittadino senegalese ha proposto ricorso in Cassazione fondandolo su un unico motivo: la mancata considerazione delle condizioni di criticità sociale ed economica del paese di sua provenienza e del percorso di integrazione da lui intrapreso in Italia che, se adeguatamente valutate, avrebbero dovuto giustificare la concessione della misura della protezione umanitaria.

Per la suprema Corte entrambi gli elementi dovevano essere considerati.

La Cassazione, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 29459/2019, evidenzia che

l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”.

Dalla pronuncia in commento emerge che il ricorrente aveva allegato, prodotto e dedotto tutti gli elementi e tutta la documentazione necessari a motivare la propria domanda. Era, quindi, onere del giudice svolgere un’integrazione istruttoria ufficiosa e valorizzare tutte le informazioni di cui disponeva (pertinenti al caso concreto aggiornate al momento della decisione) per valutare le condizioni socio-politiche del Senegal.

Il giudice del merito è, infatti, tenuto ad individuare le specifiche fonti informative su cui fondare le proprie conclusioni.

Una decisione basata solo su valutazioni generiche rischierebbe di essere viziata da “motivazione apparente”.

Il giudice a quo, pur avendo dato atto delle circostanze riguardanti l’inserimento lavorativo del ricorrente in Italia, si è poi limitato ad affermare che la precarietà delle sue condizioni economiche non appariva, in sé, un motivo idoneo a giustificare il riconoscimento della protezione internazionale.

La Suprema Corte ritiene che, così facendo, il giudice abbia omesso di considerare che, in forza degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato Italiano, il diniego del riconoscimento della protezione umanitaria deve fondarsi sull’accertamento dell’inesistenza di condizioni oggettive che potrebbero esporre il richiedente “al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona”. Ed è irrilevante che il rischio possa dipendere da fattori di natura economica, politica, sociale, culturale od altro. L’insussistenza di tali condizioni deve essere valutata con riferimento alla storia di vita del richiedente, anche in rapporto al suo livello di effettiva integrazione socio-economica realizzata nel paese di arrivo. 

Il giudice di merito, invece, non ha approfondito l’indagine sulle effettive condizioni socio-economiche del Senegal e non l’ha circostanziata. 

La Corte di Cassazione, pertanto, ha cassato la sentenza della Corte D’Appello di Genova rinviandola al medesimo giudice di secondo grado in diversa composizione, rimettendogli anche la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
 

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