Principio del ne bis in idem, condanna per stalking e contestazione del delitto di maltrattamenti

Il Tribunale di Venezia ha pronunciato sentenza di non doversi procedere (n. 556/2018) nei confronti di un imputato chiamato a rispondere del reato di maltrattamenti nei confronti della convivente, nonostante fosse già stato giudicato per il reato di atti persecutori ai danni stessa persona.
All’esito dell’istruttoria dibattimentale “le parti concordemente chiedevano al Giudice che fosse valutata l’eventuale sovrapposizione tra la fattispecie a giudizio ed il reato di atti persecutori già giudicato in via definitiva”.
Al fine di valutare la reale incidenza della precedente condanna irrevocabile, il Giudice nella motivazione della sentenza ha ritenuto preliminarmente di soffermarsi sulle risultanze istruttorie emerse nel giudizio celebrato avanti a sé, per analizzare poi il rapporto con la fattispecie già giudicata.
In particolare, nel corso dell’istruttoria, era emerso che le condotte contestate all’imputato erano iniziate durante la convivenza con la parte civile ed erano proseguite dopo l’interruzione del rapporto con la stessa; inoltre, che tutti gli episodi contestati, tranne uno, consumati sia prima che dopo la cessazione della convivenza, erano perfettamente sovrapponibili.
Il giudicante è giunto alla seguente conclusione:
E’ evidente che la vicenda già giudicata si sovrappone perfettamente all’odierno capo di imputazione, con riguardo agli episodi dell’aprile 2014, 5 giugno 2014 e 3 luglio 2014, con conseguente parziale improcedibilità del giudizio ex art. 649 c.p.p.. La violazione del principio del ne bis in idem va infatti riscontrata del tutto a prescindere dalle formali definizioni qualificatorie, guardando alla dimensione sostanziale dei fatti storici oggetto di giudizio, per come essa si sviluppa e si svela nel corso del processo. Nel caso in esame si verifica la sovrapposizione tra due fattispecie, del pari connotate da abitualità, che seppur diverse quanto alla qualificazione giuridica, ruotano intorno ad uno speculare ambito di tutela e si strutturano attraverso analoghe condotte.”.
La sentenza in commento offre lo spunto per riflettere una volta di più sulle differenze tra il reato di maltrattamenti e quello di atti persecutori.
La Suprema Corte di Cassazione (Cass. pen., n. 24575/2011) ha ripetutamente affermato che

l’oggettività giuridica delle due fattispecie di cui all’art. 572 e 612 bis c.p. è diversa e differenti sono i soggetti attivi e passivi delle due condotte illecite, ancorché le condotte materiali dei reati appaiono omologabili per modalità esecutive e per tipologia lesiva.”.

Corollario a tale principio è la possibilità, sempre ammessa, di contestare a titolo di concorso il reato di maltrattamenti in famiglia quando le condotte si consumino durante la convivenza e gli atti persecutori quando le stesse proseguano dopo la cessazione della relazione di fatto.
Diverso è il caso deciso dal Tribunale di Venezia che, accogliendo la tesi sostenuta dai difensori, ha riconosciuto che nell’ipotesi in esame sussisteva una sovrapposizione tra le due fattispecie (stesse condotte, arco temporale coincidente, medesima persona offesa) e doveva trovare applicazione il divieto di un secondo giudizio a prescindere dalla diversa qualificazione giuridica attribuita ai fatti.

 

Allegati

Ok
Questo website usa solamente cookies tecnici per il suo funzionamento. Maggiori dettagli