Le sezioni unite estendono al convivente more uxorio l’esimente dell’art. 384 comma 1 c.p.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione si sono pronunciate positivamente, con sentenza n. 10381 del 17 marzo 2021, sull’applicabilità dell’art. 384 comma 1 c.p., ossia della disposizione che prevede la non punibilità, rispetto ad alcuni delitti contro l’amministrazione della giustizia, di coloro che abbiano posto in essere tali illeciti “per esservi stati costretti dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore” anche a coloro che li abbiano commessi per salvare non tanto sé o un prossimo congiunto, bensì il proprio convivente more uxorio.

La questione, in realtà, ha coinvolto non solo, o non tanto, l’art. 384 c.p., quanto l’art. 307 comma 4 c.p., secondo il quale “agli effetti della legge penale s’intendono per prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti”. La giurisprudenza aveva sino ad ora escluso l’applicabilità della norma al partner delle coppie conviventi more uxorio, eterosessuali od omosessuali.

L’estensione della causa di non punibilità anche al rapporto di convivenza ha visto gli Ermellini far leva su una concezione aperta delle nozioni di famiglia e coniugio, sottolineando che oggi i termini come “matrimonio” e “famiglia” hanno un significato diverso e più ampio rispetto al passato, evidenziando anche come la stabilità del rapporto, con il venire meno della indissolubilità del matrimonio, non costituisca più una caratteristica assoluta e inderogabile ed anzi spesso caratterizza maggiormente unioni non fondate sul matrimonio.

Senza considerare come la nozione di famiglia accolta dall'art. 8 CEDU ricomprende anche i legami di fatto particolarmente stretti, fondati su una stabile convivenza.

Le Sezioni Unite, con la sentenza in esame, hanno interpretato analogicamente in bonam partem l'art. 384 comma 1 c.p., posto che il divieto di analogia previsto dal codice penale non ha carattere assoluto, in quanto è finalizzato ad assicurare l'esigenza di garantire le libertà del cittadino, messe in pericolo se si riconosce al Giudice il potere di applicare analogicamente in senso sfavorevole norme incriminatrici, mentre un tale pericolo non ricorre in presenza di una applicazione di una norma di favore.

L'esimente in oggetto costituisce una manifestazione del principio della inesigibilità di una condotta conforme al diritto in presenza di circostanze particolari, tali da esercitare una forte pressione sulla motivazione dell'agente, condizionando la sua libertà di autodeterminazione, espressione del principio contenuto nell'art. 27 Cost.

Per tale motivo la Corte ha ritenuto di riconoscere valenza preminente alla tutela degli affetti rispetto all’adempimento di un obbligo giuridico, quale la testimonianza, sia in costanza di matrimonio che in presenza di un rapporto di convivenza connotato dai medesimi presupposti, fermo restando che “la situazione di ‘convivenza’ risulti in base ad elementi di prova rigorosi”.

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