La Consulta fuga i sospetti di illegittimità costituzionale della “sanzione amministrativa” di cui all’art. 709 ter, secondo comma, n. 4 c.p.c.

La Corte Costituzionale ha emanato la sentenza n. 145/2020 in relazione al giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 709 ter secondo comma n. 4 c.p.c. promosso dal Tribunale ordinario di Treviso sulla base di tre distinte questioni di legittimità costituzionale.
Nello specifico il Tribunale di Treviso aveva evidenziato un potenziale contrasto con le seguenti norme:

  1. l’art. 117, primo comma, Cost., sotto il profilo del divieto di bis in idem sancito dall’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;
  2. l’art. 25, secondo comma, Cost., circa la carenza di determinatezza della fattispecie;
  3. l’art. 3, primo comma, Cost., per quanto attiene alla irragionevolezza della sanzione.

1. L’ordinanza del Tribunale di Treviso.
La questione che ha originato l’ordinanza di rimessione, atteneva ad un giudizio per la cessazione degli effetti civili del matrimonio in cui la ricorrente aveva chiesto al Giudice la condanna del coniuge separato al pagamento della sanzione pecuniaria ex art. 709 ter, secondo comma, n. 4 c.p.c.
Nel corso dell’udienza di precisazione delle conclusioni il resistente aveva prodotto una sentenza penale di condanna per il reato di cui all’art. 570 c.p. e aveva chiesto pertanto il rigetto della domanda relativa alla sanzione, essendo intervenuta sentenza irrevocabile sul medesimo fatto.
Sul primo motivo
Il Tribunale ha ritenuto applicabile la norma contestata anche solo in presenza di un inadempimento degli obblighi di mantenimento dei figli, in quanto

sul piano letterale la formulazione della norma è così vasta da ricomprendete indubbiamente anche il pregiudizio derivante dalla mancata corresponsione della contribuzione economica alla prole;
sotto un profilo teleologico e sistematico il mantenimento, rientrante nel più generale obbligo di assistenza materiale di cui all’art. 30 Cost. e 147 CC, è indispensabile per lo sviluppo della personalità del minore;
infine, sotto il profilo della ratio legis l’esclusione dall’ambito sanzionatorio delle violazioni dell’obbligo di mantenimento avrebbe dovuto essere espresso.

L’assunto di base del Tribunale, in relazione alla non manifesta infondatezza del primo motivo, è che la sanzione contenuta nella norma al vaglio della Consulta abbia sostanzialmente natura penale (e quindi soggetta al ne bis in idem in relazione al profilo normativo indicato), anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo espressa a partire dalla sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi e ciò in quanto

“è una trasgressione significativa dato che le stesse condotte sono punite dall’art. 570 CP […] la struttura dell’illecito è strutturalmente analoga ad un illecito penale […] la sanzione risulta essere particolarmente grave anche in relazione alla materia […] è irrogata nell’ambito di un procedimento giurisdizionale e nel contraddittorio fra le parti […] lo scopo di essa avrebbe natura preventiva della violazione delle condotte”.

Sul secondo motivo.
Il Tribunale riteneva, inoltre, la norma contraria all’art. 25, secondo comma, Cost., risultando indeterminata l’ampiezza del precetto penale. Infatti, la disposizione censurata, facendo riferimento agli “atti che comunque arrechino pregiudizio al minore”, demanda de facto l’individuazione delle condotte sanzionate alla discrezionalità dell’autorità giudiziaria.
Sul terzo motivo.
Quanto, poi, alla supposta contrarietà all’art. 3 Cost., il Giudice trevigiano aveva sottolineato come la sanzione prevista fosse “di gran lunga superiore, nella misura massima, a quella prevista, per i medesimi fatti, dall’art. 570 CP”, determinando quindi una irragionevole disparità di trattamento per l’identica condotta fra due soggetti che venissero, ipoteticamente, sanzionati sulla base, rispettivamente, delle due diverse norme.

2. Le determinazioni della Corte.
La Consulta ha ritenuto infondata la prima questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale in quanto individua un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma.
I giudici costituzionali compiono una ricostruzione del quadro normativo di riferimento in cui è inserita la disposizione dell’art. 709 ter c.p.c. giungendo alla conclusione che tale disposizione è volta, principalmente, a tutelare i diritti della prole “di una coppia genitoriale disgregata” dinnanzi ad un inadempimento degli obblighi di fare infungibili.
In questo senso, la norma dell’art. 709 ter, secondo comma, n. 4 realizzerebbe “una forma di indiretto rafforzamento dell’esecuzione delle obbligazioni di carattere infungibile”, per cui in sostanza, si tratterebbe, per alcuni versi, di una misura analoga a quella del cd. astreinte di cui all’art. 614 bis c.p.c., pur differenziandosene “nel meccanismo processuale”.
Inoltre, la Corte rileva come, alla luce della più recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il divieto di bis in idem non sia assoluto. Secondo tale orientamento, sottoporre a processo penale una persona già sanzionata a livello amministrativo non viola il principio di ne bis in idem, purché tra i due procedimenti vi sia una connessione sostanziale e temporale stretta ed in presenza di determinati requisiti: che le sanzioni abbiano una finalità differente e ad oggetto profili diversi della medesima condotta; che sussista una prevedibilità della duplicazione dei procedimenti come conseguenza della condotta; che vi sia una interazione probatoria fra i procedimenti; che ricorra una stretta connessione temporale tra i procedimenti e che vi sia una proporzionalità complessiva della pena.

In sostanza, un duplice binario sanzionatorio non viola di per sé il divieto di bis in idem

Per la Corte l’applicazione di tali principi dà “fondamento e corpo al dubbio di legittimità costituzionale espresso dal giudice rimettente” e la Consulta si dichiara d’accordo con il Tribunale di Treviso nel qualificare la misura come sostanzialmente penale, anche alla luce della giurisprudenza CEDU, citata nell’ordinanza di remissione, e di altre statuizioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Seguendo tali sentenze, “una sanzione può essere qualificata come sostanzialmente penale, ove ciò possa desumersi, alternativamente, dalla natura dell’infrazione […] ovvero dalla natura e dalla gravita della sanzione”. La Corte dichiara come “alla sanzione contemplata dall’art. 709 ter, secondo comma, n. 4, c.p.c., anche se espressamente definita amministrativa, deve riconoscersi natura sostanzialmente penale al fine del rispetto del divieto di bis in idem”. A tale conclusione essa giunge perché “assume rilievo la gravità della sanzione pecuniaria irrogabile […] la natura pubblicistica e deterrente della sanzione è inoltre evidente per la circostanza che la stessa è disposta non in favore dell’altra parte, bensì della Cassa delle ammende”.
Ciò premesso, la Corte compie un’ulteriore valutazione circa l’aderenza ai principi espressi dalla Corti internazionali alla configurazione concreta della relazione fra l’art. 709 ter c.p.c. e l’art. 570 c.p. Essa non ravvisa, sul piano sostanziale, una differenziazione delle sanzioni che “risulterebbero parimenti accomunate dalla stessa finalità di deterrenza, a carattere special preventivo […] le sanzioni, penale e “amministrativa”, risulterebbero essere del tutto sovrapponibili e non già complementari”.
Per la Corte, quindi, il possibile contrasto tra la disposizione censurata e il ne bis in idem si realizzerebbe “se questa fosse interpretata nei termini indicati dal giudice rimettente”, ciò che rende necessaria un’interpretazione alternativa e costituzionalmente orientata al fine di escludere la duplice sanzione.
La norma criticata deve quindi trovare la sua ratio nella necessità di assicurare tutela effettiva rispetto all’adempimento di una serie di obblighi a carattere prevalentemente infungibile verso la prole.
Per i profili strettamente patrimoniali invece non sarà applicabile la sanzione del numero 4), ma la tutela sarà assicurata dalle disposizioni penali di cui agli artt. 570 e 570 bis CP e con le forme del processo esecutivo per espropriazione.
Pertanto:

“l’art. 709-ter, secondo comma, cod. proc. civ., deve quindi essere interpretato nel senso che il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento della prole, nella misura in cui è già sanzionato penalmente, non è compreso nel novero delle condotte inadempienti per le quali può essere irrogata dall’autorità giudiziaria adita la sanzione pecuniaria “amministrativa” in esame. Le condotte suscettibili di tale sanzione sono infatti “altre”, ossia le tante condotte, prevalentemente di fare infungibile, che possono costituire oggetto degli obblighi relativi alla responsabilità genitoriale e all’affidamento di minori”.

In relazione alla seconda q.l.c. la Corte afferma che l’espressione “atti che comunque arrechino pregiudizio alla prole” non viola il principio di legalità di cui all’art. 25 Cost. in quanto:

“è compatibile con il principio di determinatezza l’uso, nella formula descrittiva dell’illecito sanzionato, di una tecnica esemplificativa oppure di concetti extragiuridici diffusi o, ancora, di dati di esperienza comune o tecnica (così già la sentenza n. 42 del 1972), tanto più ove, come nella fattispecie considerata, l’opera maieutica della giurisprudenza, specie di legittimità, consenta di specificare il precetto legale (sentenza n. 139 del 2019)”.

Infine, per quanto attiene alla terza questione, per la Corte non sussiste “alcun ingiustificato trattamento differenziato” fra due soggetti che vedano censurate le loro condotte uno mediante la sanzione penale di cui all’art. 570 CP e l’altro con quella prevista dall’art. 709 ter co. 2, n. 4) in quanto:

“Vi è però pur sempre il maggiore stigma sociale che si correla alla comminazione di sanzioni anche solo pecuniarie, ma formalmente qualificate come penali, al di là dell’importo concreto della pena irrogata, non senza considerare che comunque è prevista, in via alternativa, la pena della reclusione, che di per sé connota la maggiore gravità del trattamento sanzionatorio”.

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