La funzione tripartita dell’assegno divorzile rileva anche nei giudizi di revisione

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 12800/2021, ha affermato che la funzione tripartita dell’assegno divorzile deve orientare l’indagine anche nei giudizi di revisione, ove sia stata accertata la sopravvenienza di fatti nuovi, quali il venir meno dello squilibrio economico-patrimoniale tra gli ex coniugi.

IL CASO. La Corte d’ Appello di Bologna accoglieva parzialmente il reclamo proposto dalla ex-moglie e, in riforma del decreto del Tribunale di Reggio Emilia da costei impugnato, con il quale era stato revocato l’assegno divorzile di € 700,00 disposto in suo favore, riconosceva il diritto della signora alla corresponsione di un assegno divorzile, riducendone l’importo da € 700,00 a € 350,00.

Avverso il suddetto provvedimento l’ex marito proponeva ricorso per cassazione, lamentando, con il primo motivo, che il decreto impugnato avesse violato l’art. 5 della legge sul divorzio, laddove, in sede di modifica delle regolamentazioni economiche, aveva riconosciuto all’ex coniuge il diritto all’assegno divorzile. Ad avviso del ricorrente era stato, invero, accertato il venir meno di un’apprezzabile sperequazione reddituale tra gli ex coniugi e nel processo non erano emersi elementi di prova sulla funzione compensativo-perequativa dell’assegno divorzile.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione ha ritenuto la fondatezza del suddetto motivo di ricorso, richiamando il suo più recente orientamento, consolidatosi a seguito della pronuncia n. 18287/2019 delle Sezioni Unite, secondo cui “la sproporzione economica di non modesta entità tra situazioni patrimoniali complessive degli ex coniugi si configura come prerequisito fattuale e non è più fattore primario per l’attribuzione dell’assegno divorzile (cfr. Cass. n. 32398/2019)”.

In particolare, “la rilevanza dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge richiedente va accertata considerando che l’assegno è finalizzato a garantire un livello reddituale parametrato alle pregresse dinamiche familiari ed è perciò necessariamente collegato, secondo la composita declinazione delle sue tre componenti – assistenziale, perequativa e compensativa –, alla pregressa storia coniugale e familiare, senza che sia consentito travalicare nell’indebita locupletazione ai danni dell’altro coniuge”. Pertanto, “la natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio di solidarietà, conduce, quindi, al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali eventualmente sacrificate”.

La Suprema Corte ha chiarito che tale innovativo indirizzo deve orientare l’indagine anche nel giudizio di revisione, ove, come nel caso in esame, venga accertata dai giudici di merito la sopravvenienza di fatti nuovi (nella specie il pensionamento dell’ex marito e la significativa riduzione dei suoi redditi, a fronte di un incremento della consistenza patrimoniale dell’ex moglie e di un’esigua riduzione del suo reddito da lavoro a seguito del pensionamento). Pertanto, la sopravvenienza di fatti nuovi, astrattamente idonea a integrare la riduzione o la soppressione dell’assegno divorzile, “deve inserirsi nel quadro di una rinnovato valutazione comparativa, da effettuarsi, in applicazione ai nuovi criteri, con riguardo non solo alla situazione economica delle parti, ma anche al ruolo di ciascun ex coniuge nelle pregresse dinamiche familiari, e ciò al fine di accertare se il mutamento sopravvenuto sia oggettivamente idoneo ad alterare l’equilibrio già determinato al momento della pronuncia di divorzio”.

La Corte di Cassazione ha ritenuto che, nel caso in esame, “la Corte di merito non si è attenuta ai suesposti principi ed in particolare, dopo aver accertato il mutamento fattuale delle condizioni economiche delle parti, si è limitata a richiamare la durata della convivenza matrimoniale e la nascita di una figlia e non ha svolto alcuna indagine volta ad accertare se e in che misura il sopravvenuto venir meno dello squilibrio economico-patrimoniale tra gli ex coniugi abbia inciso, nel caso concreto, sulla finalità dell’assegno divorzile, che, come si è detto, è quella di garantire al coniuge beneficiario un livello reddituale parametrato al suo ruolo endo-familiare, in imprescindibile collegamento, secondo la complessa declinazione delle tre componenti – assistenziale, perequativa e compensativa – con la pregressa storia coniugale e familiare”.

La Corte di Cassazione ha, pertanto, accolto il primo motivo di ricorso dell’ex marito, cassando il decreto impugnato nei limiti del motivo accolto e rinviando la causa alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione.

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