Assegno di divorzio: il Giudice di merito deve disporre indagini di polizia tributaria su eventuali redditi non dichiarati qualora le risultanze istruttorie non siano tali da rendere superfluo tale accertamento

IL CASO. In appello una moglie si era vista dimezzare l’importo dell’assegno divorzile, dai 500 Euro del primo grado ai 250,00 Euro del secondo.

Aveva quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando come la Corte d’appello, in violazione dell’art. 5, comma 9 della legge n. 898/1970, avesse operato una drastica riduzione dell’assegno sulla base di un’erronea determinazione dei redditi del marito.

Quest’ultimi erano infatti stati quantificati “sulla base della sola sommaria e parziale documentazione prodotta in giudizio nonostante tre diversi ordini giudiziali di esibizione inevasi in primo grado e un ulteriore ordine emesso nel giudizio di appello”.

In particolare, la moglie aveva lamentato che “a fronte delle proprie contestazioni specifiche e circostanziate che indicavano lo svolgimento di una attività imprenditoriale non dichiarata fiscalmente da parte del [marito] ma pubblicizzata anche con uno specifico biglietto da visita e riscontrabile nei suoi movimenti bancari, la Corte di appello avrebbe dovuto disporre le opportune verifiche e le indagini di polizia tributaria prima di ricavare, in contrasto con la prima pronuncia, un reddito effettivo inferiore e tale da legittimare la riduzione dell’assegno”, ciò che invece non aveva fatto.

Né la Corte d’Appello, nel ritenere non raggiunta la prova dell’espletamento da parte del marito di un’attività imprenditoriale, aveva considerato che “le circostanze dedotte dall’odierna ricorrente non potevano essere provate senza attingere a informazioni inaccessibili a una parte privata”.

Per la moglie, il Giudice di secondo grado si era così posto in contrasto con “la consolidata lettura e interpretazione della disposizione” anzidetta, che è “nel senso di impedire al giudice di merito di respingere o di accogliere solo parzialmente la domanda di assegno per carente dimostrazione della consistenza economica e patrimoniale quando vengano omesse le indagini e verifiche fiscali”.

 LA DECISIONE. La Cassazione civile, con l’ordinanza 21359/2017, ha accolto il ricorso della moglie, ritenendolo fondato “alla luce della giurisprudenza (cfr. Cass. civ., sez. I n. 14336 del 6 giugno 2013) secondo cui

in tema di divorzio, il giudice del merito, ove ritenga raggiunta aliunde la prova dell’insussistenza dei presupposti che condizionano il riconoscimento dell’assegno di divorzio, può direttamente procedere al rigetto della relativa istanza, anche senza aver prima disposto accertamenti d’ufficio attraverso la polizia tributaria, atteso che l’esercizio del potere officioso di disporre, per il detto tramite, indagini sui redditi e sui patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita rientra nella sua discrezionalità, non trattandosi di un adempimento imposto dall’istanza di parte, purché esso sia correlabile anche per implicito ad una valutazione di superfluità dell’iniziativa e di sufficienza dei dati istruttori acquisiti.

Ciò significa che, in assenza di dati istruttori sufficienti a determinare l’effettiva consistenza dei redditi e dei patrimoni dei coniugi (e soprattutto di quello che chiede la riduzione dell’assegno divorzile), il Giudice non può decidere sull’assegno di divorzio, rigettando de plano la richiesta di indagini attraverso la Polizia tributaria.

Viceversa, deve disporre gli opportuni accertamenti d’ufficio, anche per il tramite di quest’ultima, soprattutto con riferimento alle informazioni inaccessibili da parte dei privati.

Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva dimezzato l’assegno previsto in favore della moglie, negandole ogni opportuno approfondimento istruttorio sull’attività imprenditoriale del marito e sui redditi da quest’ultimo non dichiarati, così omettendo di esercitare i propri poteri officiosi, il cui esercizio era stato peraltro sollecitato dall’interessata.

È ben vero che l’istanza di quest’ultima poteva essere rigettata, ma solo nel caso che il Tribunale avesse ritenuto ‘superfluo’ tale adempimento perché le acquisizioni istruttorie erano sufficienti, ciò che invece non poteva certo dirsi nel caso in esame.

Per tal motivo, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della moglie, ritenendo che fosse stata ingiustamente danneggiata da una decisione assunta sulla base di una istruttoria “sommaria e parziale”, che andava pertanto riformata.

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