La procedura di negoziazione assistita non è utilizzabile quando il divorzio avviene senza previa separazione

Due coniugi di nazionalità argentina si sono rivolti al Tribunale di Torino chiedendo che fosse pronunciato il divorzio sulla base di un accordo di negoziazione assistita con il quale, evidenziata la crisi coniugale e l’interruzione della convivenza, dichiaravano di avere individuato soluzioni condivise per l’affidamento della figlia minore, le modalità di visita ed il suo mantenimento.
I coniugi chiedevano che il divorzio fosse dichiarato senza la preventiva pronuncia di separazione in base alla legge della comune cittadinanza argentina che essi ritenevano applicabile in virtù della norma di conflitto di cui all’art. 31 l. n. 218/1995.
Il pubblico ministero si era opposto alla domanda, ritenendo che l’accordo non fosse corrispondente all’interesse della figlia minore, in quanto la l. n. 162/2014 di conversione del d.l. n. 132/2014 prevede che la convenzione di negoziazione assistita può essere utilizzata per il divorzio consensuale quando il divorzio è stato preceduto dal periodo legale di separazione, non invece quando vengono invocati gli altri motivi di divorzio previsti dall’art. 3 della l. n. 898/1970.

Il Tribunale di Torino ha ritenuto che il dissenso del P.M. fosse giustificato perché effettivamente l’art. 6 della l. n. 162/2014 circoscrive i casi di negoziazione in materia di divorzio all’ipotesi in cui la domanda di divorzio sia stata preceduta dal periodo legale di separazione, escludendo invece il ricorso a tale procedura quando vengono invocati gli altri casi di divorzio che, del resto, possono “presentare difficoltà di accertamento e profili giuridici non semplici, che impongono il giudizio e la competenza del Collegio e difficilmente potevano essere rimessi a una semplice autorizzazione da parte del P.M. (basti pensare all’accertamento dell’inidoneità a mantenere o ricostituire la convivenza familiare nei casi di condanna di un coniuge, oppure alla mancata consumazione del matrimonio)”.

Nel caso che occupa, però, non veniva in considerazione la legge italiana sul divorzio, bensì quella argentina della comune cittadinanza, che i coniugi ritenevano applicabile in virtù della norma di conflitto dell’art. 31 della l. n. 218/1995.
In realtà, come il Tribunale ha giustamente sottolineato, la disciplina di conflitto in materia di separazione o divorzio della l. n. 218/1995 è stata superata da quella contenuta nel Regolamento 1259/2010 (Roma III) che, si applica, come si dice, erga omnes, quindi anche quando la fattispecie è collegata con un ordinamento extra UE.
Ciò premesso, si tratta di capire se anche in base alla disciplina di conflitto del Regolamento Roma III potesse dirsi applicabile la legge argentina.
L’art. 5 del Reg. Roma III prevede innanzittutto la possibilità che i coniugi scelgano la legge applicabile al divorzio tra una rosa di leggi collegate al rapporto, ivi compresa quella della cittadinanza comune, mentre gli artt. 6 e 7 dettano disposizioni in tema di validità sostanziale e formale del pactum de lege utenda.
Solo in mancanza di accordo sulla scelta di legge, l’art. 8 del Reg. Roma III individua la legge applicabile al divorzio in base ai criteri di collegamento che sono, nell’ordine, la residenza abituale dei coniugi o, in mancanza, l’ultima residenza abituale dei coniugi, se uno di essi l’ha mantenuta e non è trascorso più di un anno dal momento della presentazione della domanda giudiziale, o, in mancanza, la comune cittadinanza.
Dunque, mentre la l. n. 218/1995 prevedeva che la connessione più significativa al fine di individuare la legge applicabile al divorzio fosse costituita dalla cittadinanza dei coniugi, diversa è la prospettiva del Reg. Roma III che, all’interno di un’Unione europea (dove le persone circolano indipendentemente dalla cittadinanza), considera più significativa la materiale connessione con lo Stato costituita dalla residenza abituale dei coniugi o di uno di essi.
Pertanto, nella fattispecie, a differenza di quanto ritenuto dai coniugi in base alla l. 218/1995, non si poteva applicare la legge argentina come legge della comune cittadinanza ai sensi del Reg. Roma III.

Evidentemente, però, il Tribunale deve avere in qualche modo ravvisato che i coniugi avessero raggiunto un accordo sulla legge applicabile ai sensi dell’art. 5 del Regolamento, se ha ritenuto che la fattispecie presentasse “l’esame di non facile soluzione, quali la valutazione della tempestività e validità dell’accordo per la scelta della legge applicabile (art. 5) anch’esse difficilmente affrontabili nella sede stragiudiziale e attraverso una semplice autorizzazione amministrativa”.
A questo riguardo, osserviamo che ben difficilmente i coniugi potevano aver raggiunto un accordo sulla legge applicabile al momento della presentazione della convenzione di negoziazione assistita, poiché essi ritenevano che la legge argentina fosse applicabile in forza dell’art. 31 della l. 218/1995, che non prevedeva l’accordo sulla scelta di legge e che comunque già designava la legge della comune cittadinanza dei coniugi, sicché di un accordo in proposito non vi era neppure bisogno.
Evidentemente, il Tribunale si è domandato se si potesse ritenere che i coniugi avessero raggiunto un accordo durante il corso del procedimento, e si è posto il problema della tempestività di tale accordo, forse perché il Reg. Roma III prevede che l’accordo possa essere raggiunto al più tardi quando è adita l’autorità giurisdizionale (art. 5.2) oppure anche durante lo svolgimento del procedimento, ma solo se la lex fori lo consente, e la legge italiana nulla prevede al riguardo.
Se si può supporre che questo sia il problema di tempestività che il Tribunale di Torino ha ipotizzato potesse presentarsi in relazione all’ipotetico accordo dei coniugi sulla legge applicabile, non è dato invece capire quale potrebbe essere stato il problema di validità sostanziale.

A nostro giudizio, in una prospettiva pragmatica, questi problemi potevano essere superati.
Il Tribunale avrebbe potuto ritenere che la domanda dei coniugi di pronunciare il divorzio in base alla legge argentina, sia pure in base all’erroneo convincimento che questa fosse designata dalla disciplina di conflitto della l. n. 218/1995, in quanto era espressione della volontà di applicare la legge argentina, contenesse implicitamente un accordo sulla scelta di tale legge.
In un caso analogo, la sentenza del Tribunale di Belluno del 23 dicembre 2014 ha ritenuto che la volontà dei coniugi di scegliere la legge tunisina si poteva ricavare dal fatto che essi avevano presentato domanda di divorzio in base alla legge tunisina, anche in quel caso ritenendola erroneamente applicabile in forza dell’art. 31 della l. n. 218/1995, mentre doveva trovare applicazione la disciplina di conflitto del Reg. Roma III.

In conclusione, a nostro giudizio, le motivazioni che hanno indotto il legislatore italiano a limitare l’accesso alle procedure di negoziazione assistita ai casi in cui il divorzio viene chiesto al termine del periodo legale di separazione, non possono essere estese sic et simpliciter al caso in cui il divorzio deve essere pronunciato in base alla legge straniera, richiedendosi una valutazione caso per caso.


Se la legge straniera ammette il divorzio solo per motivi che richiedono accertamenti di fatto, del tipo di quelli che per la legge italiana sono l’intollerabilità della convivenza a seguito della condanna di un coniuge, o la mancata consumazione, è corretto non ammettere la procedura di negoziazione assistita.
Se invece la legge straniera ammette il divorzio direttamente a seguito della dichiarazione dei coniugi che dichiarano l’intollerabilità della convivenza e manifestano l’intenzione di sciogliere il vincolo, come sembrerebbe essere avvenuto nel caso di specie, allora non paiono esservi ragioni per escludere la procedura di negoziazione assistita.
È infatti da molti anni pacifico in giurisprudenza che non presentano elementi contrari all’ordine pubblico le leggi straniere che ammettono il divorzio senza un previo periodo di separazione (ex pluribus, Trib. Belluno, sentenza 5 novembre 2010), sicché non sembrano esservi ragioni per ritenere che solo perchè il divorzio avviene senza previa separazione “l’accordo non corrisponda all’interesse dei figli” e quindi non possa essere autorizzato ai sensi dell’art. 6 della l. 162/2014.
L’affermazione del Tribunale secondo cui la separazione sarebbe richiesta nell’interesse della prole è infatti smentita dal fatto che è richiesta anche se dal matrimonio non sono nati figli.

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