Commette peculato il tutore che si appropria di somme spettanti all’interdetto

Il CASO. Tizio e Caia, rispettivamente tutore e protutore di Sempronio erano stati condannati in I grado, con decisione confermata dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria per il reato di cui all’art. 314 c.p. (peculato) per essersi appropriati di una somma pari ad € 28.000,00 spettante all’interdetto in forza di sentenza civile che aveva condannato l’INPS a corrisponderla a titolo di risarcimento.
In particolare, dalle risultanze processuali emergeva che gli imputati avevano incassato la somma spettante all’interdetto, avevano omesso di presentare al Giudice tutelare il rendiconto previsto dall’art. 380 c.c. e non avevano mai fornito documentazione giustificativa degli esborsi fatti, pur sostenendo di aver utilizzato l’importo di € 28.000,00 per l’acquisto di un’autovettura “funzionale al trasporto dell’interdetto e per la ristrutturazione della stanzetta dove il parente viveva”.
Il Giudice tutelare aveva rimosso gli imputati dagli incarichi.

LA DECISIONE. La Suprema Corte, dopo aver definito adeguata e non manifestamente illogica la motivazione dei Giudici d’appello, si è soffermata sui criteri di qualificazione del tutore quale pubblico ufficiale.
La qualifica di pubblico ufficiale, di cui all’art. 357 c.p., attiene ad una concezione c.d. funzionale – oggettiva, per cui ciò che rileva non è tanto il rapporto di dipendenza tra il soggetto e la pubblica amministrazione, quanto, piuttosto, l’attività in concreto esercitata dall’agente e oggettivamente considerata.
Il tutore dell’interdetto svolge un’attività ausiliaria all’esercizio della funzione giudiziaria, che attiene alla cura della persona dell’incapace e all’amministrazione dei suoi beni; nell’esercizio di tale attività egli è titolare di poteri certificativi (nella redazione dei rendiconti periodici al Giudice tutelare) e di poteri autoritativi.
La decisione in commento condivide quindi il principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il tutore, come il protutore, è investito di una pubblica funzione.


“Affermata la natura pubblica della tutela e la qualità di pubblico ufficiale del tutore dell’interdetto, ne deriva che l’appropriazione di somme spettanti all’interdetto, ricevuto dal tutore in ragione del suo ufficio, integra il delitto di peculato”.


Il reato di cui all’art. 314 c.p. non può ritenersi integrato da una mera violazione formale, quale la mancata rendicontazione al Giudice tutelare (cfr. Cass. pen. 29617/2016), mentre ciò che rileva nel caso specifico è il fatto che gli imputati avessero ricevuto, in ragione della loro funzione, una somma spettante all’interdetto, della cui destinazione e gestione non avevano, tuttavia, fornito giustificazione alcuna, realizzando così un’inversione del titolo del possesso uti dominus, e così attuando una condotta sanzionata a mente dell’art. 314 c.p..

 

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