Beni acquistati in comunione legale e mutamento del regime patrimoniale

Con sentenza n. 4676 pubblicata il 28 febbraio 2018, la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui, sebbene i coniugi mutino il proprio regime patrimoniale, ai beni acquistati secondo l’originario assetto patrimoniale (nella specie: comunione legale), continua ad applicarsi la disciplina di quest’ultimo e non quella di quello successivamente scelto dai coniugi (nella specie: separazione dei beni).

IL CASO. Un marito separato aveva chiesto al Tribunale di Rieti lo scioglimento della comunione costituita sugli immobili acquistati in regime di comunione legale, e sui quali aveva poi costruito, a proprie spese, tre fabbricati.
L’ attore aveva, quindi, chiesto una C.T.U. per la determinazione del valore di detti fabbricati, per ottenere l’assegnazione delle porzioni dei terreni sui quali questi erano stati eretti.
La moglie si era costituita in giudizio, deducendo che i fabbricati sarebbero stati costruiti in violazione delle norme che disciplinano la comproprietà - in particolare dell’art. 1120 c. c. -, domandandone quindi la demolizione, a seguito della quale avrebbe potuto essere riproposta domanda di divisione.
Sia il Tribunale che la Corte d’appello avevano accolto le eccezioni sollevate dalla moglie.

LA DECISIONE. Decidendo il ricorso proposto dal marito, la Corte di Cassazione ha opportunamente riassunto alcune circostanze incontestate e fondamentali per la risoluzione della controversia in questione:
"[…] appare pacificamente riconosciuto in giudizio che i terreni (sui quali insistono i tre fabbricati in questione) furono acquistati nel 1987 da entrambi i coniugi, in regime di comunione legale dei beni; e che nel 1988 questi mutarono il loro regime patrimoniale scegliendo quello della separazione dei beni, senza tuttavia procedere allo scioglimento della comunione sui beni precedentemente acquistati. Altrettanto incontestato è che dal 1990 in poi il ricorrente ebbe a realizzare i predetti fabbricati, nel tempo utilizzati da entrambi i coniugi senza alcuna contestazione fino alla separazione personale dei medesimi, nel 2003”.
Ciò premesso, la Corte di legittimità ha quindi richiamato

il principio generale secondo cui, ai beni acquistati in un previgente regime patrimoniale, continuino ad applicarsi (salva diversa volontà dei coniugi) le norme proprie di siffatto regime e non quelle del successivo e sopravvenuto regime coniugale. Il che significa che, nel caso in oggetto, il fondo acquistato dai coniugi in comunione legale dei beni continua a mantenere il suo specifico assetto giuridico, fino allo scioglimento della comunione, anche se successivamente detto regime muti, per volontà dei medesimi, in quello di separazione dei beni.

Il principio di diritto così formulato ha una portata particolarmente significativa alla luce dell’art. 191 c.c., il quale invece annovera tra le cause di scioglimento della comunione legale proprio il mutamento convenzionale dell’assetto patrimoniale del matrimonio.
Ne consegue la necessità di ricorrere alle disposizioni di cui agli artt. 180 e ss. c.c., e non alla disciplina della comunione ordinaria, per risolvere le questioni inerenti all’edificazione eseguita su un fondo acquistato in regime di comunione legale ancora operante, nonostante successivamente a questo i coniugi optino per il regime della separazione dei beni.

Occorre perciò ricordare come la disciplina in materia sancisca che l’amministrazione ordinaria dei beni in comunione spetti disgiuntamente ad entrambi i coniugi, mentre gli atti di straordinaria amministrazione spettano ad essi congiuntamente. Si aggiunga che, entro un anno dal momento in cui il coniuge ha avuto conoscenza di un atto di straordinaria amministrazione eventualmente compiuto in spregio alla sua volontà, ed in ogni caso entro un anno dalla data di trascrizione, egli può agire per ottenerne l’annullamento.

Da queste premesse la Corte ha tratto la conclusione che “la realizzazione da parte di uno solo dei coniugi dei tre fabbricati sul fondo in comunione legale, debba essere configurato quale atto eccedente l'ordinaria amministrazione, il compimento del quale spetta congiuntamente ad entrambi i coniugi (ai sensi del secondo comma dell'art. 180 c.c.); e che l'eventuale mancanza di necessario consenso dell'altro coniuge si traduce in vizio di annullabilità dell'atto (art. 184, primo comma, c.c.), da farsi valere in giudizio entro un anno dalla data in cui questo è venuto a conoscenza dell'atto (ovvero da quando l'atto sia stato trascritto, o da quando si sia sciolta la comunione: art. 184, secondo comma, c.c.).

Proseguono poi gli Ermellini, rilevando che nel caso di specie non solo che non era stata proposta tempestivamente l’azione di annullamento dell’atto di straordinaria amministrazione posto in essere dall’ex marito, ma risultava pure implicitamente sussistente il consenso della moglie – la cui espressione non richiede la forma scritta – , stante l’assenza di qualsivoglia dimostrazione di opposizione o dissenso da parte di quest’ultima nel corso di ben 13 anni trascorsi tra l’inizio dei lavori e la separazione personale.

In conclusione, dalla sentenza in questione si può riconoscere che:
-    il fondo acquistato dai coniugi in comunione legale dei beni continua ad essere soggetto al suo specifico assetto giuridico sino allo scioglimento della comunione stessa, nonostante il mutamento del regime patrimoniale successivamente intervenuto tra i coniugi;
-    se un coniuge costruisce a proprie spese su un fondo di proprietà comune, la mancanza di opposizione dell’altro, protrattasi per un lungo periodo di tempo, deve interpretarsi come consenso implicito all’atto di straordinaria amministrazione in tal modo attuato. Nel caso specifico gli immobili quindi andranno suddivisi in quote uguali fra i coniugi e colui che aveva sostenuto i costi delle anzidette costruzioni avrà diritto ad ottenerne la rifusione pro quota dall’altro;
-    l’altro coniuge, infatti, ha la facoltà di impugnare tale atto nel termine di un anno, decorso il quale nulla può più contestare.

 

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