Quando si prescrive l’azione per la divisione della comunione “de residuo”?

IL CASO

La Corte d'appello di Roma aveva confermato la decisione di primo grado, in una controversia promossa dall’ ex moglie che, dopo aver ottenuto un sequestro conservativo ante causam nei confronti dell'ex marito, chiedeva l’accertamento dell'entità dei beni in comunione de residuo ex art. 177 c.c., comma 1, lett. c) e l’assegnazione della quota del 50% di detti beni, rappresentati dai proventi dell’attività artistica del marito.

Questi erano stati accreditati su un conto corrente estero, intestato fiduciariamente al figlio ma gestito dal padre, dal primo dolosamente sottratti ad insaputa del genitore.

La Corte, con sentenza parziale del 2012, aveva respinto le eccezioni di inammissibilità della domanda e di prescrizione del diritto sollevate dal convenuto, con rimessione della causa sul ruolo per l’integrazione del contraddittorio.

I giudici d'appello avevano sostenuto che:

a) l'accordo, intervenuto nel corso del giudizio di divorzio, di corresponsione di assegno divorzile "una tantum" (oltre al trasferimento della proprietà di alcune opere d'arte del marito, scultore), non rendeva inammissibile la domanda volta alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali conseguenti alla cessazione della comunione legale, attese le diverse finalità dell'assegno divorzile in unica soluzione e dello scioglimento della comunione de residuo;

b) la transazione intervenuta tra le parti in occasione del divorzio non poteva ritenersi onnicomprensiva, in quanto, secondo un'interpretazione sistematica e letterale delle clausole contrattuali, la questione oggetto del giudizio, non rientrava nella transazione, anche perché appresa dall’ex moglie successivamente al divorzio;

c) il termine della prescrizione decennale non era maturato al momento in cui l'azione era stata promossa, non perchè sospeso durante il rapporto matrimoniale (come ritenuto dal Tribunale), ma perché il medesimo termine, decorrente dalla pronuncia di separazione, era stato interrotto dall’azione cautelare intrapresa dalla ex moglie solo quando aveva avuto contezza del denaro dolosamente sottratto alla comunione;

d) il saldo attivo del conto corrente, nella specie, tra l'altro, intestato non ad uno dei coniugi, ma ad un terzo, con delega di firma al marito, nel quale erano confluiti i proventi dell'attività separata svolta dallo stesso, entrava certamente a far parte della comunione.

Avverso la suddetta pronuncia, il marito proponeva ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, solo uno dei quali accolto.

 

LA DECISIONE

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in esame, dopo aver ritenuto corretta la decisione della Corte territoriale in merito all’ammissibilità dell’azione di scioglimento della comunione de residuo, in punto prescrizione dell’azione, pur ritenendo inammissibile il motivo di ricorso, ha pronunciato un principio di diritto.

Il ricorrente, al fine della dedotta prescrizione del diritto dell’ex coniuge sulla quota divisionale di spettanza sul patrimonio della comunione de residuo, sosteneva che la disposizione transitoria di cui all’art.3 della L. n. 55/2015, che aveva modificato il “momento di insorgenza della cessazione della comunione dei beni coniugali” (legandolo all’adozione dei provvedimenti presidenziali di autorizzazione a vivere separati) andasse applicato anche al procedimento di divisione della comunione de residuo in corso al momento dell’entrata in vigore della legge, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, che ne aveva escluso l’applicabilità.

La norma di cui all’art.3, in ordine al regime transitorio, stabilisce infatti che “le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, anche nel caso in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data”.

La Corte, andando in contrario avviso, ha chiarito quanto segue:

I procedimenti in corso” di cui alla norma in esame, cui applicare sia l’art.1, sul c.d. divorzio breve, sia l’art.2 cioè le nuove condizioni autonome di scioglimento descritte dal nuovo ultimo comma dell’art.191 c.c. (vale a dire, il provvedimento presidenziale emanato all’inizio delle separazioni giudiziali ovvero l’omologa delle separazioni consensuali), non possono che essere quelli di separazione o di divorzio”.

In conclusione, deve escludersi che la novella del 2015 sia da applicare anche al giudizio di divisione della comunione “perché altrimenti, così interpretata la disposizione di cui all’art.3 L.55/2015, si applicherebbe uno ius superveniens, che ha anche anticipato la decorrenza del termine ordinario decennale di prescrizione dell’azione correlata di divisione, a situazioni, quale quella oggetto del presente giudizio, in cui tali provvedimenti erano intervenuti oltre dieci anni prima, in violazione del principio generale di irretroattività della legge.”

Gli Ermellini hanno, quindi, affermato il seguente principio di diritto:

In materia di comunione legale tra coniugi, la disposizione transitoria di cui all’articolo 3 della legge 55/2015, legge con la quale è stato anche modificato il regime del momento di insorgenza della cessazione della comunione dei beni tra i coniugi, con introduzione del nuovo secondo comma dell’articolo 191 c.c., laddove dispone l’applicazione della novella «ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge», deve essere intesa, incidendo sul termine di prescrizione dell’azione, come non operante per il procedimento di divisione della comunione de residuo che sia già in corso al momento dell’entrata in vigore della riforma 2015, in coerenza con il principio di irretroattività dettato dall’articolo 11 delle preleggi”.

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