Sottrazione internazionale di minore: quando il giudice non è tenuto all’emissione di un ordine di rimpatrio?

IL CASO. Condotta la figlia minore in Italia per le vacanze natalizie, il padre V.C. ometteva, al termine delle feste, di riaccompagnare la piccola all’estero dalla madre, presso la quale la bambina era stata collocata in sede di separazione.

Il Tribunale per i Minorenni di Palermo, adito dal P.M. affinché ordinasse il rientro della minore presso la madre, dichiarava non luogo a provvedere sull’istanza, evidenziando come la CTU svolta in corso di causa avesse rilevato la sussistenza di concreti rischi per l’equilibrio psico-fisico della piccola in caso di suo rientro all’estero e di allontanamento dall’ambiente in cui viveva col padre, il fratello ed i nonni paterni.

A sostegno della decisione, il Tribunale evidenziava altresì come la minore non conoscesse la lingua del paese di residenza della madre, non avesse contatti con il di lei compagno ed avesse, al contrario, più volte espresso la volontà di rimanere con il padre.

Avverso tale pronuncia ricorreva in Cassazione la madre, che contestava la violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 13 della Convenzione de L’Aja del 25 ottobre 1980, lamentando l’omessa indicazione da parte del giudice di prime cure del fondato rischio per la minore, la mancata valutazione delle conclusioni dei servizi sociali tedeschi, l’interferenza nelle attribuzioni della magistratura germanica circa l’affidamento della piccola, nonché l’eccessivo valore attribuito dai giudici palermitani alle dichiarazioni di volontà di una bimba di soli sette anni.  

LA DECISIONE. Nel pronunciarsi sul ricorso della madre, la Suprema Corte ha avuto modo di ripercorrere il percorso logico-giuridico che il giudice è tenuto a compiere allorquando sia chiamato a decidere sull’illecita sottrazione di un minore, ribadendo altresì come il giudizio non investa il merito della valutazione circa la miglior collocazione possibile del minore.

Preliminarmente - ricordano gli ermellini - il Tribunale deve accertare che colui che denuncia la sottrazione esercitasse effettivamente (e non solo sul piano formale) il diritto di custodia del minore, e che quest’ultimo sia stato allontanato senza il consenso del genitore dalla sua residenza abituale, intesa come luogo in cui permaneva stabilmente e durevolmente ed aveva, pertanto, il centro dei propri legami affettivi (art. 13, comma I, lett. a, Convenzione de L’Aja 25.10.1980).

Accertata l’esistenza di tali condizioni, il Giudice deve procedere a verificare che non sussistano né il “fondato rischio per il minore di essere esposto a pericoli fisici o psichici o, comunque, di trovarsi in una situazione intollerabile” in caso di ordine di rimpatrio, né la manifestazione da parte del minore capace di discernimento di una “volontà contraria al rientro” (art. 13, comma I, lett. b, e comma II, Conv. Aja 25.10.1980), ostando la presenza di tali circostanze alla pronuncia di un ordine di rimpatrio.

Alla luce di tali considerazioni, con l’ordinanza in commento (n. 9767/2019), la Cassazione ha condiviso la decisione del Tribunale di escludere la sussistenza nel caso di specie dei requisiti necessari per ordinare il rientro della minore all’estero, rilevando come non fosse mai stato condiviso tra i genitori il trasferimento della piccola in Germania, come la minore non avesse legami affettivi nel paese di residenza della madre (di cui non conosceva nemmeno la lingua) ed avesse, anzi, espresso più volte la volontà di restare con il padre, come la presenza della madre fosse dannosa per la figlia ed il padre fosse, invece, in grado di assolvere la funzione genitoriale in via esclusiva, e come, in conclusione, l’allontanamento dall’Italia della piccola fosse idoneo ad arrecare un grave pregiudizio al suo equilibrio psico-fisico.

In senso conforme Cass. civ. n. 20365/2011.

 

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