La continuazione tra il reato di maltrattamenti e quello di stalking presuppone la cessazione della convivenza

La Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del giudice di prime cure, ha condannato alla pena di anni uno e mesi nove di reclusione, un imputato che ha ritenuto colpevole non solo del reato di maltrattamenti nei confronti della convivente, ma anche di quello di atti persecutori, essendosi nel frattempo interrotta la convivenza.
In particolare, veniva contestato all’imputato di aver maltrattato, in presenza dei figli minori, la propria convivente, accusandola di tradimenti, minacciandola di morte, percuotendola ed ingiuriandola e, una volta cessata la convivenza, perseguitando la donna e i figli con messaggi ingiuriosi e minacce, provocando alle parti offese un grave e perdurante stato d’ansia.
Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione censurando l’omesso assorbimento del delitto di cui all’art. 612 bis c.p. in quello di maltrattamenti in famiglia previsto dall’art. 572 c.p.

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in commento (Cass. pen. n. 42918/2018), ha rigettato il ricorso, confermando il proprio costante orientamento circa la

configurabilità dell’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori in presenza di comportamenti che, sorti nell’ambito di una comunità familiare, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale”.

La Corte, infatti, ha ribadito che diversi sono i beni giuridici tutelati dalle due norme nonostante le condotte materiali possano essere spesso sovrapponibili.
Il reato di maltrattamenti è un reato contro l’assistenza familiare e tutela le persone che fanno parte della famiglia mentre il reato di atti persecutori è un reato contro la persona e, in particolare, contro la libertà morale, che può essere commesso da chiunque, a prescindere dall’esistenza di legami familiari.
Quanto alla clausola di sussidiarietà prevista dall’art. 612 bis, comma primo cod. pen., che comporta la configurabilità del solo reato di maltrattamenti, la stessa può trovare applicazione nell’ipotesi in cui i coniugi non abbiano cessato la convivenza ovvero si siano legalmente separati, ma non ancora divorziati, e ciò in ragione della permanenza del vincolo familiare nel caso di semplice separazione (Cass. pen. n. 10932/2017).
Alla luce dei principi espressi, gli Ermellini hanno ritenuto logica e priva di aporie la decisione della Corte territoriale che aveva ritenuto la responsabilità dell’imputato per il delitto di maltrattamenti fino alla data di interruzione del rapporto di convivenza e poi, dalla cessazione di tale rapporto, per quello di atti persecutori.

 

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