Pedinare l’amante del marito: reato di molestie o di stalking?

IL CASO. Tizia era stata condannata in primo grado per il reato di cui all’art. 612 bis c.p. per aver inviato una serie di sms ingiuriosi e minacciosi a Caia, che intratteneva una relazione sentimentale con suo marito, e per averla pedinata, fatti che si erano collocati in un arco temporale tra l’inizio e la fine dell’estate.

La Corte d’appello d’Ancona, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva riqualificato l’originaria imputazione nel meno grave reato di cui all’art. 660 c.p., riducendo la pena ad un mese di arresto.

Secondo i Giudici del gravame, infatti, mancava la prova, nel caso di specie, del nesso di causalità tra la condotta posta in essere dall’imputata e la pretesa alterazione delle abitudini di vita della persona offesa.  In particolare, la decisione di secondo grado valorizzava la circostanza che lo stesso tentativo di suicidio posto in essere dalla vittima era riconducibile non già alle molestie subite, ma alla decisione dell’uomo di interrompere la relazione extraconiugale. 

Avverso tale decisione l’imputata proponeva ricorso per cassazione lamentando, fra i vari motivi, la violazione dell’art. 660 c.p. per assenza dell’elemento oggettivo del reato. A parere della difesa, i pretesi pedinamenti difettavano del requisito della petulanza richiesto dalla fattispecie in esame, mentre non vi era prova dell’invio degli sms. 

LA DECISIONE. Con la sentenza in commento (n. 11198/2020) la Suprema Corte ha ribadito i criteri distintivi che connotano le diverse fattispecie di atti persecutori e di molestie.

Con specifico riferimento alla configurabilità del reato di cui all’art. 660 c.p., i Supremi Giudici, sul solco dell’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, hanno precisato che “il reato di molestia o disturbo alle persone può essere integrato anche da una condotta consistente nell’inseguire insistentemente la persona offesa, o il suo veicolo, in modo da interferire nella sfera di libertà di lei e da arrecarle fastidio o turbamento”(Cass. pen. n. 6908/2012; Cass. pen. n. 18117/2014).

Per la configurazione dell’elemento oggettivo è sempre necessaria una significativa intrusione dell’altrui sfera personale che assurga al livello di molestia o disturbo, che, tuttavia, non può prescindere da una dimensione temporale del fenomeno che raggiunga una certa consistenza ( Cass. pen. n. 52585/2017).

A parere degli Ermellini, il giudice del gravame aveva ritenuto correttamente che gli insistiti pedinamenti ed il loro carattere invadente ed infastidente costituissero la condotta necessaria e sufficiente alla consumazione del reato meno grave di molestia, ancorché realizzato in un arco temporale più contenuto rispetto all’originaria imputazione.

Appare opportuno segnalare un orientamento di legittimità secondo il quale il reato di molestia di cui all’art. 660 c.p., in quanto non necessariamente abituale, può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia, purché ispirata da biasimevole motivo o tale da presentare il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata degli altri (Cass. pen. n. 43704/2015).

La Suprema Corte ha, inoltre, affrontato il tema del discrimine tra la fattispecie in esame e il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p., richiamando il principio di diritto a mente del quale 

la condotta di molestia o disturbo non va confusa con le “più gravi situazioni, materiali o morali, quali lo stato d’ansia o paura, il timore per l’incolumità propria o altrui e l’alterazione delle abitudini di vita, che sono gli eventi che, disgiuntamente, integrano il più grave reato di atti persecutori ex art. 612 bis c.p.” (Cass. pen. 36139/2019).

Non vi è dubbio che la condotta di cui all’art. 612 bis c.p. possa essere rappresentata da molestie, oltre che da minacce, ma ciò non legittima l’interprete a considerare la fattispecie di cui all’art. 612 bis c.p. come una reiterazione di successivi episodi di molestie, come tali singolarmente inquadrabili nella contravvenzione di cui all’art. 660 c.p.. Si tratta, in realtà, di due reati strutturalmente diversi: uno, delitto necessariamente abituale di danno, l’altro, contravvenzione non necessariamente abituale di pericolo che, pur potendo avere un nucleo strutturale comune costituito dalla condotta molesta, nel delitto di cui all’art. 612 bis c.p. si deve, tuttavia, inserire in una sequenza idonea a produrre uno degli eventi tipizzati dalla norma (Cass. pen. n. 12528/2016). 

Alla luce dei richiamati principi di diritto, i Supremi Giudici hanno dichiarato manifestatamente infondati tutti i motivi di gravame, con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso. 


 

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