Divisione ereditaria: onere della ricerca dei beni della massa e non comoda divisibilità di un immobile

05 SETTEMBRE 2018 | Donazioni | Successioni e donazioni

IL CASO. Nel 2000, una delle due figlie di Tizio, deceduto l’anno prima, conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Patti, il fratello e chiedeva la divisione dei beni caduti nella successione paterna con assegnazione della quota di sua spettanza (pari ai 2/3 dell’asse ereditario, avendole l’altra sorella donato la propria quota), nella quale assumeva doversi ricomprendere un fabbricato non comodamente divisibile, occupato dal fratello stesso.
Costituendosi in giudizio, questi eccepiva che la sorella si era illegittimamente impossessata di tutte le somme di denaro e dei titoli appartenuti al padre e chiedeva che, nella determinazione delle quote, tutti i beni immobili e mobili, compresi denaro e titoli di cui la sorella-attrice aveva potuto disporre, fossero oggetto di collazione.
Il Tribunale si pronunciava dichiarando lo scioglimento della comunione ereditaria tra i due fratelli in lite; assegnava all’attrice, ai sensi dell’art. 720 c.c., il fabbricato, comprensivo degli arredi ivi contenuti, con l’obbligo di corrispondere al fratello un conguaglio in denaro; assegnava al convenuto alcuni terreni, condannandolo a rifondere all’attrice la quota di sua spettanza dei frutti del fabbricato che aveva occupato.
La Corte D’Appello di Messina rigettava l’appello proposto dal fratello, il quale proponeva quindi ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi. Col primo lamentava la violazione delle norme in materia di collazione e l’incompletezza della CTU, per aver omesso di cercare, individuare e valutare i beni mobili facenti parte della massa ereditaria, con conseguente incidenza, oltre che sulla collazione, anche sulla quantificazione del conguaglio. Col secondo denunciava violazione degli artt. 713 e 720 c.c., per aver ritenuto non divisibile il fabbricato attribuito per intero alla sorella. Col terzo lamentava la violazione degli artt. 726 e 727 c.c., per avere la CTU erroneamente quantificato il valore dei beni mobili ed il conseguente conguaglio in denaro.  

LA SENTENZA. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo non fondati tutti i motivi d’impugnazione.
Con riferimento al primo ed al terzo motivo, esaminati congiuntamente, la Corte ha confermato ancora una volta l’orientamento secondo cui “la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze”.
La Corte ha precisato che, nel caso di specie, non ricorre una di quelle ipotesi in cui al giudice è consentito dare ingresso ad una c.d. “consulenza tecnica percipiente”, attraverso la quale possono essere acquisiti dati ricavabili solo grazie all’ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche. In ogni caso, per l’ammissibilità di tale tipologia di consulenza, la parte, entro i termini di decadenza dell’istruzione probatoria, deve allegare i corrispondenti fatti, ponendoli a fondamento della propria domanda.
Inoltre, la Corte ha evidenziato come la sentenza impugnata avesse specificamente rilevato che non era onere del CTU andare alla ricerca dei beni mobili e delle somme di cui, secondo l’appellante, si era appropriata la sorella: era, viceversa, onere della parte indicare quali fossero i beni mobili facenti parte della massa ereditaria, ma tale onere non era stato assolto.
Anche sull’accertamento dell’indivisibilità del bene (oggetto del secondo motivo d’impugnazione), i Giudici della Seconda Sezione Civile hanno concordato con la decisione assunta in grado d’appello di mantenere l’unitarietà dell’immobile assegnato alla sorella del ricorrente.
Tale soluzione è stata infatti ritenuta la più consona alla luce dell’esigua dimensione dell’immobile, della struttura precaria del primo piano, del modestissimo sviluppo in superficie delle due elevazioni, della distribuzione degli ambienti e della collocazione del manufatto tra muri appartenenti ad altri fabbricati.
Secondo la Corte, quindi,

l’eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura era giustificata, nel caso di specie, dal rigoroso accertamento della sussistenza dei presupposti d’indivisibilità del bene,

costituiti “dall’irrealizzabilità del frazionamento dell’immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento o dall’impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento - (la minor quota spettante al ricorrente - nemmeno 40 mq - sarebbe stata del tutto insufficiente per un utilizzo residenziale) -, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessivi, tenuto conto dell’usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso (Cass. n. 16918 del 2015; Cass. n. 14577 del 2012; Cass. n. 12406 del 2007; Cass. 22833 del 2006; Cass. n. 15380 del 2005)”.

 

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