Ha diritto all’assegno divorzile l’ex moglie che ha lasciato il paese d’origine per seguire il marito in Italia

La Corte di Cassazione con ordinanza n. 765 depositata il 16 gennaio 2020, ha ribadito i principi espressi da Sezioni Unite n. 18287/18, attribuendo l’assegno divorzile alla ex moglie peruviana, che si era trasferita in Italia dal suo paese d’orgine, per dedicarsi alla cura della famiglia.
 
La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza n. 248/2018, aveva confermato la decisione del giudice primo grado, il quale, pronunciando lo scioglimento del matrimonio, aveva riconosciuto alla ex moglie un assegno divorzile di € 350,00 mensili.
 
L’ex coniuge onerato dell’assegno aveva quindi proposto ricorso per Cassazione, denunciando la violazione dell’art. 5, comma 6, L. 898/70, in quanto “…il giudice del gravame, omettendo ogni verifica circa l’an debeatur, si sarebbe discostato dai principi enunciati in sede di legittimità con la sentenza n. 11504/2017…”.
 
La Corte di legittimità ha respinto il gravame osservando che 
“…all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate (Cass. Sez. U. n. 18287 del 11/07/2018), così puntualizzando i principi espressi dalla sent. n. 11504/2017, di cui erroneamente il ricorrente invoca l’applicazione…”.
Secondo gli Ermellini, nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente valorizzato le circostanze del caso concreto utili per “…perseguire la finalità assistenziale-perequativa/compensativa attribuita…” all’assegno divorzile dalle Sezioni Unite.
 
Invero, nel riconoscere alla ex moglie l’assegno di € 350,00 al mese, aveva tenuto conto del reddito da lavoro che la stessa aveva reperito dopo la separazione, ma anche del fatto che “…aveva lasciato la sua patria (il Perù) nel 1999 per trasferirsi in Italia con il marito…” dove, nei primi anni del matrimonio, si era dedicata totalmente alla conduzione della vita familiare ed alla cura ed educazione del figlio.
 
Osserva ancora la Cassazione che “…la Corte territoriale ha riconosciuto il diritto all’assegno …  non già allo scopo di assicurare il pregresso tenore di vita, ma per mantenere le condizioni di vita adeguate e consone al progetto familiare e sociale che la cessazione del matrimonio aveva interrotto…”, formula questa che, in realtà, non appare molto diversa, sotto il profilo concettuale, da quella del “mantenimento del tenore di vita” goduto, in costanza di matrimonio, dal coniuge divorziato.
 
A questo proposito vale la pena di sottolineare come la giurisprudenza di legittimità, successiva all’intervento nomofilattico delle S.S.U.U. (Cass. ord. nn. 1882/19, 2480/19, 4523/19) , abbia tentato “…il più possibile di confermare le statuizioni dei giudici d’appello, se pur ispirate … al criterio del mantenimento del tenore di vita in costanza di matrimonio, tutte le volte in cui sia stato possibile constatare che il richiamo a tale criterio era prevalentemente formale e che in realtà la decisione impugnata era stata filtrata dalla valorizzazione sia della funzione assistenziale, che di quella compensativa e perequativa, nonché dalla compiuta, complessiva disamina degli elementi indicati nell’art. 5, comma 6, l. div….” (Stefano Schirò, Attribuzione e determinazione dell’assegno di divorzio: un lungo percorso giurisprudenziale, IPSOA, Famiglia e Diritto, 10/2019, pag. 935).
 
 
 

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