L'accesso agli atti: come farsi legittimamente i fatti altrui

Con due sentenze del luglio scorso (le n. 5345 e n. 5347 del 2019) il Consiglio di Stato è tornato a pronunciarsi sul diritto di accesso agli atti a scopi difensivi in relazione ai procedimenti di separazione e divorzio. 

La vicenda che ha portato all’emanazione dei provvedimenti indicati nasce da due richieste di accesso agli atti rivolte all’Agenzia delle Entrate da una donna che intendeva ricostruire la situazione reddituale del coniuge, nella pendenza del procedimento di separazione giudiziale. 

La prima richiesta, inoltrata alla Direzione Provinciale di Lecco, aveva ad oggetto “atti relativi ai rapporti e alle operazioni di natura economico-finanziaria del proprio coniuge […] tutti i suoi documenti contenuti nell’anagrafe dei conti correnti e nell’archivio dei rapporti finanziari, […] l’elenco degli istituti di credito e degli altri intermediari finanziari con i quali […] ha intrattenuto rapporti”.

La seconda, inoltrata alla Direzione Regionale Lombardia, era volta ad ottenere “la documentazione fiscale del coniuge relativa alle dichiarazioni dei redditi, alle dichiarazioni IVA, Irap e modello 770 e alle certificazioni dei sostituti d’imposta degli ultimi tre anni”.

Poiché entrambe vennero rigettate e la decisione fu inutilmente reclamata avanti alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi ex art. 25, 4 L.241/1990 la signora presentò due ricorsi al TAR della Lombardia. 

Entrambi i ricorsi vennero rigettati, avendo il TAR
•   da un lato aderito all’orientamento giurisprudenziale che considera “l’interesse ostensivo azionato” meno meritevole di tutela rispetto a quello alla riservatezza dell’altro coniuge
•   dall’altro ritenuto le richieste prive dei requisiti di concretezza e attualità, dato che il diritto alla difesa (“adeguatamente tutelato dalle regole del processo civile”) avrebbe dovuto essere esercitato nel procedimento di separazione.

In sostanza per ottenere quei documenti la richiedente avrebbe dovuto utilizzare gli strumenti offerti dagli articoli 211 e 213 cpc in materia di esibizione di prove e documenti e del combinato disposto di cui all’art 492 bis cpc (ricerca con modalità telematica dei beni da pignorare) e 155 bis, disp. att. cpc (che estende la modalità di ricerca telematica, fra altri casi, ai procedimenti in tema di famiglia in cui sia necessario ricostruire la situazione patrimoniale di una delle parti).

La decisione riguardante l’accesso ai documenti relativi alle “operazioni economico finanziarie” aggiunge che la mancanza dei requisiti di concretezza e attualità previsti dall’art 22, co. 1, lett. b), della legge n. 241/1990 dipende anche dall’eccessiva ampiezza e dalla vaghezza della richiesta.

La ricorrente ha impugnato entrambe le sentenze avanti al Consiglio di Stato, il quale, pur dando risposte parzialmente diverse, ha enunciato due importante principi di diritto:

1) non vi è una prevalenza del diritto alla riservatezza rispetto a quello di difesa;
2) l’astratta possibilità per una parte di accedere a documenti di suo interesse mediante gli ordinari strumenti processuali non esclude la facoltà di accesso ai sensi della L. 241/90. 
Si tratta infatti di due strumenti che possono essere usati alternativamente per conseguire risultati equivalenti.

Richiamando la decisione n. 7/2012 dell’Adunanza Plenaria, il Consiglio di Stato ricorda che gli strumenti di accesso di cui agli articoli 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990 disciplinano un istituto avente portata generale e attribuiscono un diritto esercitabile “ogniqualvolta vi sia un interesse strumentale, serio e non emulativo, personale e connesso ad una situazione di cui l’istante è portatore, qualificato dall’ordinamento come meritevole di tutela”.

Tali requisiti ricorrono indubbiamente, secondo il massimo organo di giustizia amministrativa, nell’ipotesi in cui, pendente un giudizio di separazione o divorzio, uno dei coniugi abbia bisogno di ricostruire la situazione reddituale e patrimoniale dell’altro. A maggior ragione, poi, se il procedimento coinvolge figli minori e il loro diritto al mantenimento.

Infine, il Consiglio di Stato sottolinea che l’accesso agli atti ex lege n. 241/90 è un diritto che deve ricevere particolare tutela quando per disporre del documento la parte ha già inutilmente formulato le proprie richieste istruttorie nel procedimento civile.

L’importanza di questa affermazione non può certo sfuggire se si pensa che l’art. 210 cpc preveda la facoltà, e non l’obbligo, per il Giudice, di ordinare l’esibizione dei documenti, sicché il diritto di difesa potrebbe risultare di difficile attuazione

Per completezza, occorre chiarire che dopo aver espresso in entrambe le sentenze i principi sopracitati, il Consiglio di Stato ha accolto solo una della due impugnazioni, precisamente con la sentenza n. 5347/2019.

Con la n. 5345/2019, invece, pur riconoscendo come fondati i motivi di doglianza dell’appellante in relazione alla prevalenza dell’accesso difensivo rispetto al diritto alla riservatezza, ha rigettato l’appello per la genericità e l’eccessiva ampiezza dell’originaria istanza, dunque “priva del necessario requisito della specificità”. 

Una richiesta eccessivamente ampia, che imporrebbe all’Amministrazione “un onere di ricerca e di individuazione dei documenti tale da essere suscettibile di incidere sulla stessa funzionalità” della PA, non è, dunque, accoglibile.

Al fine del buon esito dell’istanza di accesso agli atti o documenti amministrativi, sarà necessario dunque non formulare richieste eccessivamente ampie o generiche e ad indicare in maniera circostanziata e precisa la documentazione di cui si chiede l’esibizione. Infatti, afferma il Consigli di Stato, “l’Amministrazione è tenuta unicamente a produrre documenti già esistenti e individuati e non anche a compiere attività di ricerca ed elaborazione degli stessi”.

I soci potranno se lo desiderano accedere ai fac simili di istanze e reclami pubblicati a suo tempo nell’area riservata del sito
 

 

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