Denuncia-querela ed azione civile di reintegra della quota di legittima

La sentenza della Sez. II della Corte d’Appello di Milano, depositata il 18.2.2020, ha affermato che una denuncia-querela del reato di circonvenzione di incapace e di truffa, a cui è seguita l’archiviazione, non è idonea a fornire alcun supporto probatorio, in sede di azione civile, ai fini del diritto di chiedere la reintegra della legittima che si ritiene lesa da un conferimento estorto con l’inganno e/o approfittando dell’incapacità di intendere e di volere del soggetto.

IL CASO. Tizia, vedova di Tizio, conveniva in giudizio il figlio Caio ed i nipoti al fine di ottenere la reintegra della propria quota di legittima sulla successione del marito deceduto.

L’attrice chiedeva che venisse accertata l’invalidità del testamento pubblico del de cuius, che l’aveva esclusa totalmente dalla successione, e proponeva una domanda di riduzione delle disposizioni lesive della propria quota di legittima, chiedendo di tenere in conto anche delle donazioni effettuate in vita dal coniuge.

In particolare Caia sosteneva di essere stata indotta dal figlio a conferire in un trust il proprio diritto di usufrutto sul complesso immobiliare di famiglia, senza essere stata informata delle conseguenze di tale conferimento. Chiedeva quindi la condanna del trustee a mettere a disposizione i beni da esso gestiti al fine di reintegrare la quota di legittima spettantele.

I convenuti si costituivano, chiedendo il rigetto delle domande attoree.

In sede di precisazione delle conclusioni, l’attrice chiedeva la sospensione del processo in attesa dell’esito della denuncia-querela presentata dalla figlia contro il fratello Caio, ove veniva prospettata una condotta illecita da parte di quest’ultimo, nei confronti della madre, al fine di convincerla a conferire il diritto di usufrutto nel trust.

Il Tribunale di Como rigettava tutte le domande dell’attrice.

In primo luogo, il giudice di primo grado respingeva la richiesta di sospensione del processo in quanto non risultava la pendenza di un processo penale, ma solo di una denuncia-querela depositata dall’attrice.

Inoltre, il Giudice di primo grado respingeva la domanda di invalidità del testamento, in quanto l’attrice non aveva addotto alcun vizio dell’atto, ma solo lamentato la lesione della propria quota di legittima.

Il Tribunale rigettava altresì la domanda di riduzione ritenendo che l’attrice avesse implicitamente rinunciato a tale azione partecipando, unitamente al figlio, alla costituzione del trust, in quanto detta condotta costituiva un indizio inequivoco di accettazione, da parte di Caia, dell’assetto di interessi venutosi a determinare per volontà del defunto marito.

Il Tribunale, infine, respingeva anche la domanda di inefficacia del trust, non avendo provato l’attrice alcuna circostanza dalla quale potesse desumersi una sua induzione in errore per la costituzione di detto assetto patrimoniale.

LA SENTENZA. Caia ha impugnato la sentenza per tre motivi: (i) mancata applicazione dell’art. 295 c.p.c.; (ii) erronea interpretazione di circostanze decisive ai fini dell’accoglimento della domanda; (iii) omessa ammissione di Consulenza Tecnica al fine di stabilire il valore degli immobili.

La Corte d’appello di Milano ha in primo luogo ritenuto infondato il primo motivo, in quanto, ai fini della sospensione ex art. 295 c.p.c., secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, la pendenza di un processo penale presuppone l’avvenuto esercizio dell’azione penale da parte del P.M. nei modi previsti dall’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione o la richiesta di rinvio a giudizio.

Ha quindi ritenuto la Corte che la sospensione del processo non poteva essere disposta sul presupposto della mera presentazione di una denuncia e della conseguente apertura delle indagini preliminari.

I Giudici di secondo grado hanno ritenuto infondato anche il secondo motivo d’appello con cui l’appellante aveva lamentato l’erronea interpretazione di circostanze decisive ai fini della decisione quali le presunte condotte degli appellati, denunciate in sede penale dalla figlia di Caia, integranti i reati di circonvenzione di incapace e truffa ai danni della madre.

Secondo la difesa di Caia, il Giudice avrebbe dovuto considerare, in sede civile, le conseguenze di questi gravi comportamenti del figlio, che l’avrebbero tratta in errore quanto agli effetti del conferimento dell’usufrutto nel trust, così superando l’eccezione della controparte relativa alla decadenza di Caia dal diritto di chiedere la reintegra di legittima.

La Corte ha osservato che il procedimento penale si era concluso con un’archiviazione da parte del GIP e pertanto l’esito di detto procedimento non avesse fornito alcun supporto probatorio alla tesi di parte appellante, né quest’ultima aveva offerto in giudizio elementi per ritenere l’esistenza, anche ai soli fini civili, delle condotte delittuose imputate al figlio, consistenti - secondo la tesi dell’appellante – nell’aver carpito il suo consenso ai fini del conferimento del diritto di usufrutto nel trust.

La Corte d’appello ha quindi confermato la sentenza di primo grado anche per questo capo.

La Corte infine ha ritenuto infondato anche il terzo motivo d’appello, relativo all’omessa amissione di consulenza tecnica al fine della stima dell’immobile conferito nel trust in quanto, una volta esclusa la fondatezza dell’azione di riduzione proposta dall’attrice, la CTU sarebbe stata del tutto ininfluente.

I Giudici di secondo grado ha quindi respinto in toto l’appello e condannato Caia alla rifusione delle spese processuali, condannando altresì l’appellante al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, così come modificato dall’art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012, che prevede tale condanna nelle ipotesi di rigetto integrale o di improcedibilità od inammissibilità dell’appello.
     
  

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