Sull’onere probatorio in capo al legittimario che agisce in riduzione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17926, depositata il 27.8.2020, affronta un tema molto interessante relativo all’obbligo o meno in capo al legittimario che agisce in riduzione di precisare esattamente l’entità economica della lesione subita.
IL CASO. Tizio, figlio di Caio, conveniva in giudizio Sempronia, nipote del de cuius, affermando che il padre Caio era deceduto senza lasciare testamento e nulla aveva lasciato al figlio, avendo donato in vita alla convenuta l’unico immobile di sua proprietà. 
Tizio chiedeva quindi la riduzione della donazione eseguita dal padre in favore della convenuta, con attribuzione di quota parte dell’immobile donato in suo favore. Sempronia si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda. In particolare chiedeva ne venisse dichiarata l’inammissibilità per violazione dell’art. 2697 c.c., non avendo l’attore offerto alcun elemento per ricostruire e verificare il valore della massa ereditaria e l’affermata lesione della quota di legittima.
Nel giudizio di primo grado veniva disposta una consulenza tecnica per ricostruire l’asse ereditario e con sentenza non definitiva veniva accolta la domanda attorea e disposta la conseguente riduzione della donazione fatta dal defunto in favore della convenuta, che veniva condannata ad integrare la legittima spettante a Tizio.
Sempronia proponeva appello e la Corte d’appello riformava la sentenza di primo grado, accogliendo la censura di Sempronia, secondo cui la domanda originaria sarebbe stata carente dei requisiti imposti al legittimario che agisce in riduzione dalla legge e dalla giurisprudenza.
Tizio ricorreva quindi in Cassazione. 
Con il primo motivo denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 163, 183 c.p.c. e 2697 c.c., sostenendo di aver dato prova degli atti di disposizione compiuti in vita dal defunto con la produzione della documentazione catastale. 
Con il secondo motivo denunciava violazione degli artt. 61, 62 e 194 c.p.c.: secondo il ricorrente, una volta raggiunta la dimostrazione che il de cuius era deceduto aveva disposto di tutto il proprio patrimonio in vita, il valore dei beni era stato correttamente accertato mediante l’anzidetta consulenza tecnica, alla quale non poteva riconoscersi funzione esplorativa per il motivo che l’attore non aveva originariamente indicato il valore di mercato dei singoli beni. 
La Corte ha esaminato congiuntamente i due motivi di ricorso, ritenendoli fondati. 
LA SENTENZA. La Corte d’appello aveva ritenuto che la domanda di Tizio non assolveva gli oneri deduttivi imposti al legittimario che agisce in riduzione, non avendo Tizio specificato il valore di mercato dei beni relitti donati e la misura della lesione. In particolare, i Giudici di secondo grado hanno ritenuto che l’espletamento della CTU ha avuto funzione esplorativa, così colmando le carenze probatorie attoree.
I giudici di secondo grado avevano fatto richiamo dei principi giurisprudenziali secondo cui il legittimario che propone azione di riduzione ha l’onere di indicare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria, nonché quello della quota di legittima violata dal testatore. Ne deriva in capo al legittimario che agisce in riduzione l’onere di allegare e di comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se e in quale misura sia avvenuta la lesione della quota di riserva.
Gli Ermellini hanno invece specificato che gli oneri di deduzione imposti al legittimario che agisce in riduzione non possono essere definiti autonomamente, ma in relazione alla nozione di lesione di legittima, alla natura e alla disciplina positiva dell’azione di riduzione, quali emergono da un più ampio esame della giurisprudenza della Corte di legittimità rispetto a quello svolto dalla Corte d’appello.
La Suprema Corte ha quindi passato in rassegna, con un’articolata motivazione, tutti i principi in materia di azione di riduzione, affermando che: - nel proporre la domanda di riduzione il legittimario, senza l’uso di formule sacramentali, deve denunciare la lesione di legittima; - a sua volta la denuncia della lesione implica un confronto fra quanto il legittimario consegue, come erede legittimo o testamentario, e quanto avrebbe diritto di ricevere come erede necessario; -  il confronto, per forza di cose, avviene in base a una certa rappresentazione patrimoniale, che il legittimario deve indicare nei suoi estremi essenziali già nella domanda, perché la lesione di legittima deve essere enunciata in termini concreti e non come pura eventualità (Cass. n. 276/1964); -  l’esito negativo del confronto non deve necessariamente essere enunciato in termini aritmetici, ma deve emergere con univocità dal rapporto tra relictum e donatum e la lesione di legittima può essere ravvisata anche attraverso presunzioni semplici. 
Quindi, secondo la Cassazione, ferma la necessità della univoca deduzione della lesione nel significato sopra chiarito, nel caso deciso, la consulenza tecnica non aveva avuto carattere esplorativo, ma aveva rappresentato il mezzo normalmente preposto all’accertamento della lesione compiutamente dedotta dall’attore in primo grado.
Pertanto le regole sugli oneri di deduzione, imposti al legittimario che agisce in riduzione, vanno considerate in una prospettiva più ampia e hanno un significato assai diverso da quello attribuito loro dalla Corte d’appello, che si era arrestata ad una considerazione letterale delle massime citate nella sentenza.
L’attore – secondo gli Ermellini - aveva invece dimostrato che il defunto era deceduto senza testamento e senza lasciare beni; che in vita aveva elargito donazioni in favore di soggetti diversi dal legittimario attore, il quale aveva quindi coerentemente dedotto di non aver ricevuto nulla dall’eredità paterna.
Pertanto, nell’ipotesi in cui l’asse ereditario sia stato esaurito per effetto delle donazioni disposte dal de cuius  mentre era in vita, il legittimario non ha altra via per conseguire la quota di riserva, se non quella di agire in riduzione contro i donatari, essendo la compiuta denuncia della lesione già implicita nella deduzione della manifesta insufficienza del relictum (ovvero della sua inesistenza). 
La Suprema Corte ha accolto i due motivi di ricorso e cassato la sentenza, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Bari, enunciando con il seguente principio di diritto:

"I principi di giurisprudenza sugli oneri di deduzione imposti al legittimario che agisce in riduzione non possono essere intesi nel senso che il legittimario è tenuto a precisare nella domanda l’entità monetaria della lesione, ma piuttosto che la richiesta della riduzione di disposizioni testamentarie o donazioni deve essere giustificata alla stregua di una rappresentazione patrimoniale tale da rendere verosimile, anche sulla base di elementi presuntivi, la sussistenza della lesione di legittima".

Allegati

Ok
Questo website usa solamente cookies tecnici per il suo funzionamento. Maggiori dettagli