Per la Cassazione il mantenimento dei figli va determinato tenendo conto di tutti i parametri normativi

IL CASO. Tizia aveva adito il Tribunale di Sulmona per regolamentare l’affidamento (precisamente, il “diritto di visita da parte del padre”) ed il mantenimento [precisamente, il “pagamento di un contributo (paterno) di mantenimento di Euro, 850,00 mensili”] della figlia Sempronia, nata da una relazione extraconiugale con Caio. 
Il Tribunale aveva determinato “l’assegno in Euro 700,00 mensili, a decorrere dalla data della sentenza” e posto “le spese straordinarie, previamente concordate, a carico di entrambi i genitori ciascuno per la metà”.
In parziale accoglimento dei gravami, la Corte d’Appello de L’Aquila aveva ridotto il contributo paterno di mantenimento a € 400,00, facendolo decorrere dalla data della domanda.
Tizia aveva, quindi, proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi. 
Col primo aveva denunciato “violazione e falsa applicazione degli artt. 337 ter e 316 bis c.c., per avere la Corte di merito ingiustificatamente ridotto il contributo di mantenimento, ignorando i criteri fissati in materia dalla legge e, in particolare, il principio secondo cui i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo le loro capacità di lavoro”.
Col secondo motivo aveva lamentato la violazione del “principio di parità di trattamento tra figli legittimi e naturali, considerando che il [Caio] versava un assegno mensile di Euro 1000,00 ad un altro figlio”.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7134/2020, nell’esaminare congiuntamente i due motivi, li ha ritenuti “fondati”. 
In particolare, il Giudice di legittimità ha censurato la sentenza impugnata laddove questa aveva “sviluppato implicitamente il seguente ragionamento: la fissazione del contributo in Euro 700,00 a carico del padre, onerando anche la madre di un contributo in analoga misura, si risolverebbe nell’attribuzione alla figlia di un contributo mensile di 1.400,00 che sarebbe però eccessivo, da qui la riduzione dello stesso”, ritenendo che si trattasse di una “motivazione al di sotto del minimo costituzionale, di conseguenza inidonea a giustificare (e a consentire il controllo di) una corretta applicazione dei

parametri normativi fissati in materia dall’art. 337 ter c.p.c., comma 4, i quali impongono di determinare il contributo di mantenimento per i figli con riferimento ai ‘tempi di permanenza presso ciascun genitore’, al ‘tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori’, alla ‘valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore’, oltre che alle ‘attuali esigenze del figlio’”. 

Precisamente, la Corte di Cassazione ha rilevato come, rispetto a quest’ultimo parametro (quello delle “attuali esigenze del figlio”), la decisione fosse “apodittica, avendo ritenuto eccessivo l’importo, di Euro 1.400,00 mensili, di cui ipoteticamente e virtualmente la minore potrebbe beneficiare se entrambi i genitori corrispondessero il medesimo importo di Euro 700,00, senza considerare che il contributo deve essere determinato in base alle ‘risorse economiche’ di ciascun genitore”. 
Ed ha, quindi, ritenuto che, poiché “nessun cenno, nemmeno per implicito, [era stato] svolto ai suddetti criteri nella sentenza impugnata”, quest’ultima fosse incorsa in una “falsa applicazione dei parametri normativi indicati”. 
Il Giudice di legittimità ha, pertanto, accolto il ricorso promosso da Tizia, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’Appello de L’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese.

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