Storia infinita e conclusione amara: l’assegno di divorzio prima riconosciuto e poi negato va restituito

24 DICEMBRE 2021 | Mantenimento del coniuge

Con l’ordinanza n. 28646/2021, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che Il beneficiario di un assegno di divorzio successivamente revocato dal giudice di appello per insussistenza dei presupposti, è tenuto a restituire tutte le somme incassate con decorrenza dal momento in cui ha iniziato a percepire l’assegno.

Nel caso in esame, Tribunale di Fermo, con sentenza n. 388 del 2014, pronunciando la cessazione degli effetti civili del matrimonio, al fine di consentire al coniuge economicamente più debole la conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, aveva riconosciuto alla signora un assegno divorzile.

La decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello di Ancona, ma la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 20525 del 2017, accoglieva il ricorso proposto dal marito e cassava la sentenza con rinvio alla medesima Corte di Appello di Ancona in diversa composizione dando «… continuità alla recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. Sez. 1, n. 11504 del 10 maggio 2017) secondo cui il diritto all’assegno di divorzio … è condizionato dal suo previo riconoscimento in base ad una verifica giudiziale che si articola necessariamente in due fasi … una prima fase, concernente l’an debeatur, informata al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole … una seconda fase, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato…», come sottolinea testualmente la decisione in commento

Il giudice del rinvio, nel rispetto del principio di diritto fissato dalla Suprema Corte in applicazione della cd. “sentenza Grilli”, nonostante nel frattempo fosse intervenuta la nota sentenza della Cassazione resa a Sezioni Unite in materia di assegno divorzile, modificava, sul punto, la sentenza del Tribunale di Fermo revocando l’assegno divorzile concesso alla signora con condanna alla restituzione delle somme ricevute a tale titolo dal marito a far data dal 29.08.2017, ovvero dalla data della pronuncia dell’ordinanza della Cassazione.

Avverso tale sentenza il marito proponeva nuovamente ricorso per Cassazione, censurando, per quanto qui di interesse, la decisione circa la decorrenza dell’obbligo di restituzione. Secondo la prospettazione del ricorrente, la Corte del merito, dopo aver negato ab origine la sussistenza dei presupposti per l’attribuzione dell’assegno divorzile erroneamente «…aveva poi consentito la mancata restituzione … di gran parte di quanto percepito [dalla moglie n.d.r.] per tale causale sulla base di una presunta e generica buona fede … che, peraltro, avrebbe potuto salvarla dalla restituzione dei meri frutti ed interessi, ma non la salverà mai dalla sorte capitale, che sarà sempre ed in ogni caso da restituire per l’intero…».

La Suprema Corte, con il provvedimento in esame, dopo aver compiuto un interessante disamina «sui limiti dei poteri attribuiti al giudice del rinvio a seconda che la decisione di annullamento [della Cassazione n.d.r.] abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione o per l’omesso esame di punti decisivi della controversia», ha ritenuto fondata la censura del marito affermando che

«…l’accertamento dell’insussistenza del diritto all’assegno divorzile comporta che lo stesso non sia dovuto dal momento giuridicamente rilevante in cui … la sua iniziale attribuzione, avente natura costitutiva decorre; momento coincidente con il passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo matrimoniale (cfr., in motivazione, Cass. 30257 del 2017). Ne consegue, pertanto, che l’obbligo restitutorio dovrà riguardare anche il periodo ricompreso nell’intervallo temporale tra il momento in cui la stessa ha concretamente iniziato a percepire l’emolumento … fino a quello della già citata ordinanza di questa Corte…».

La Corte ha ulteriormente sottolineato che « l’azione di ripetizione di somme pagate in esecuzione di un provvedimento giudiziale, provvisoriamente esecutivo, successivamente riformato in sede di sua impugnazione, non si inquadra nell’istituto della conditio indebiti (art. 2033 cod. civ.), sia perché si ricollega ad un’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale precedente il provvedimento stesso, sia perché il comportamento dell’accipiens non si presta a valutazione di buona o mala fede ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. non potendo venire in rilievo stati soggettivi rispetto a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti … ne consegue, altresì, che gli interessi legali sul quantum da restituire dovranno essere riconosciuti, in applicazione del principio generale di cui all’art. 1282 cod. civ., dal giorno del pagamento e non da quello della domanda, poiché la caducazione del titolo rende indebito il pagamento fin dall’origine…».

In definitiva, la Suprema Corte accogliendo il primo e secondo motivo del ricorso principale proposto dall’ex marito, dichiarando inammissibili tutti gli altri, ha cassato l’impugnata sentenza della Corte di Appello di Ancona in relazione ai soli motivi accolti ed ha deciso il ricorso nel merito, condannando l’ex moglie «…alla restituzione di quanto corrispostole dal [marito n.d.r.] a titolo di assegno divorzile, anche per il periodo ricompreso nell’intervallo temporale tra il momento in cui la stessa iniziò concretamente a percepire l’emolumento predetto (poi risultato non dovutole) fino a quello dell’ordinanza di questa Corte n.20525 del 2017 oltre agli interessi legali su tali somme dalle date dei rispettivi pagamenti fino all’effettivo soddisfo…», ha quindi compensato integralmente tra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio, sia di merito che di legittimità.

Va richiamata l’attenzione del lettore sulla circostanza che purtroppo per la signora, la sua vicenda giudiziale si è sviluppata a cavallo di ben tre orientamenti giurisprudenziali in materia di assegno di divorzio: il “vecchio trentennale orientamento” che trovava la sua matrice nella decisione resa dalla Suprema Corte a Sezioni Unite nel 1990, il revirement della cd ”sentenza Grilli” del 2017 e la sentenza resa a Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione nel 2018 che ha dato nuovo, diverso e oramai consolidato , inquadramento ai presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile. Il provvedimento in esame diviene così interessante anche sotto profilo processuale dovendosi dedicare la Suprema Corte al giudizio di rinvio, ai diversi motivi di annullamento delle sentenze e alle diverse conseguenze che ne derivano in ordine ai limiti dei poteri attribuiti al giudice del rinvio.

Nel caso in esame, non potendo la Corte d’Appello mettere in discussione il principio di diritto enunciato dal giudice delle leggi, ma essendo nel frattempo intervenuto lo stesso giudice a Sezioni Unite mutando orientamento, forse possiamo pensare che il giudice del rinvio grazie all’applicazione del principio di buona fede avesse fatto decorrere la restituzione delle somme dalla data della pronuncia della Cassazione del 2017. La signora, infatti, sino ad aveva percepito un assegno divorzile, appunto, in applicazione dell’orientamento draconiano ormai in essere sin dal 1990 e dunque, probabilmente, per lei oramai certo.

Con la pronuncia in esame la Cassazione, invece, escludendo l’applicabilità al caso in esame della buona fede dell’accipiens, anzi di una “presunta generica buona fede”, ha privilegiato in tutto le ragioni di stretto diritto percorrendo una via che non tiene conto del complesso intreccio di umanità che caratterizza la famiglia e considerando l’ex coniuge alla stregua di un qualunque altro debitore. Ciò, evidentemente, nel sentire sociale è di difficile percezione in quanto l’ex coniuge può trovarsi in stato di bisogno per aver confidato prima in un progetto di vita successivamente naufragato, poi nell’orientamento della giurisprudenza, sino ad allora pacifico e costante, in materia di assegno divorzile. Probabilmente il complesso di interessi e di aspettative che riguarda i rapporti individuali all’interno del nucleo familiare e il tumultuoso susseguirsi dei mutamenti di decisioni sull’assegno divorzile che ha travolto il diritto della signora, avrebbe potuto suggerire strade diverse, sempre giuridicamente corrette, ma più aderenti al segmento di umanità regolato.

Infine, si osserva che la giurisprudenza del Supremo Collegio, inseguendo la pura astrattezza del diritto, dimentica di adeguarne l’effetto al caso concreto delle vicende familiari favorendo inconsapevolmente comportamenti di risentimento come quelli di chi utilizza lungamente il sistema giudiziario per regolare conti che, probabilmente, col denaro poco hanno a che fare.

MMmm

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