È valido l’accordo raggiunto in sede di separazione per una rendita “vita natural durante” da parte di un coniuge a favore dell’altro?

IL CASO. Il Tribunale di Sassari, con sentenza n. 674/2015, poneva a carico del marito l’obbligo di corresponsione mensile alla moglie di un assegno divorzile. Avverso tale sentenza, proponeva impugnazione il marito. La Corte d'Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, confermava la statuizione sull’assegno divorzile a favore della moglie.

In sede di separazione consensuale, i coniugi avevano trovato un accordo atto a sciogliere la comunione dell’intero patrimonio immobiliare e mobiliare e volto a disciplinare i loro rapporti economici anche per il successivo divorzio. La Corte d’Appello aveva ritenuto l’accordo “ammissibile e non affetto da nullità per illiceità della causa con la conseguenza che, non essendosi verificate situazioni di forza maggiore in ordine alle condizioni economiche delle parti, la misura dell'assegno stabilito in primo grado doveva ritenersi congrua”.

Avverso la sentenza pronunciata in appello, proponeva ricorso per cassazione il marito, cui resisteva la moglie con controricorso.

Con l'unico motivo, il ricorrente assumeva che “l'accordo concluso con la coniuge in sede di separazione consensuale, essendo destinato a disciplinare anche i rapporti economici del futuro divorzio, era affetto da nullità per illiceità della causa, atteso che il diritto all'assegno di divorzio, per la sua natura assistenziale, non è posizione soggettiva disponibile”. Di conseguenza, il giudice di merito, senza far riferimento alle statuizioni assunte in sede di separazione consensuale, “avrebbe dovuto indagare sull'effettiva sussistenza del presupposto richiesto dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, per la concessione dell'assegno divorziale, ovvero l'inadeguatezza dei mezzi in capo al coniuge beneficiario rispetto al tenore di vita tenuto in costanze di matrimonio”.

Alcun accertamento in tal senso, invece, era stato effettuato dalla Corte d'Appello, la quale non aveva tenuto conto da un lato del fatto che, per effetto degli accordi della separazione consensuale, una parte consistente del patrimonio immobiliare in comunione dei coniugi era stato attribuito alla moglie, già proprietaria di altro appartamento e titolare di una subagenzia di assicurazioni, e dall’altro del decremento reddituale subito dal marito dopo la separazione.

DECISIONE. La Suprema Corte, con ordinanza n. 11012 del 27.01.2021 depositata in data 26.04.2021, ha ritenuto fondato il motivo di ricorso.

Secondo orientamento giurisprudenziale costante, “gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all'art. 160 c.c.” (per tutte, Cass. n. 2224 del 30/01/2017). In virtù di questo principio, “di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio”.

La Corte d’Appello di Cagliari aveva ritenuto l’accordo fra i coniugi ammissibile e non affetto da nullità richiamandosi a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 8109/2000.

Con il provvedimento in esame la Corte di Cassazione ha, tuttavia, evidenziato come il caso in questione fosse ben diverso dalla situazione esaminata e decisa con la sentenza n. 8109/2000, laddove la Suprema Corte aveva sì ritenuto valido l'accordo raggiunto dai coniugi in sede di separazione, ma sul solo rilievo che “si trattava di un accordo transattivo (ancorché parzialmente trasfuso nella separazione consensuale) concluso tra i coniugi al solo scopo di porre fine ad una controversia di natura patrimoniale, tra gli stessi insorta, senza alcun riferimento, esplicito od implicito, al futuro assetto dei rapporti economici conseguenti alla eventuale pronuncia di divorzio”. Nell’accordo transattivo, il marito aveva assunto l’obbligo di pagare alla moglie una somma "vita natural durante": una volta insorta controversia sulla spettanza o meno dell'assegno divorzile, era corretto che il giudice del divorzio tenesse conto del credito spettante alla moglie e del corrispondente debito del marito, “al pari di tutte le altre voci attive e passive, della situazione reddituale delle parti”. Nel caso preso allora in esame, la Suprema Corte aveva specificato come l'orientamento secondo cui gli accordi con i quali i coniugi fissano in sede di separazione il regime giuridico dei futuro ed eventuale divorzio sono nulli per illiceità della causa, anche nella parte in cui concernono l'assegno divorzile, dovesse essere ritenuto condivisibile e mantenuto fermo, ma non fosse applicabile al caso.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Cagliari, nel confermare l'assegno di divorzio a favore della moglie, invece, “non ha minimamente tenuto separato (né precisato) il profilo della definizione dei rapporti patrimoniali già pendenti tra le parti e della eventuale conseguente regolamentazione delle ragioni di debito-credito (comprendenti la cessione di azienda - o di una quota di essa - e il patto di non concorrenza), rispetto a quello della spettanza dell'assegno di divorzio secondo i criteri elaborati da questa Corte, ammettendo genericamente, e in astratto, in modo erroneo la liceità di patti tra coniugi, diretti a disciplinare i loro rapporti economici in vista del futuro divorzio, ove fatti valere da quello beneficiario dell'assegno pattuito in sede di separazione”.

Alla luce di ciò, il ricorso è stato accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte di Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, in diversa composizione, la quale dovrà uniformarsi al seguente principio di diritto: “In tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione, i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito - credito portata da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell'uno e a favore dell'altro da versarsi "vita natural durante", il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull'an dell'assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell'accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) "in occasione" della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perché giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all'assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)".

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