Pandemia, globalizzazione e crisi climatica

La salute umana e quella del pianeta sono da sempre interconnesse. Tuttavia solo negli ultimi decenni, con l’aumentare dell’impatto ambientale del nostro stile di vita, stiamo progressivamente acquisendo consapevolezza di come sia a rischio la stessa sopravvivenza della nostra specie.

Salute e malattia sono dimensioni speculari e, in un mondo globalizzato, senza confini. Se è innegabile che la salute sia migliorata grazie alla combinazione di molteplici fattori (scienza medica, produzione di cibo, minor sforzo fisico, ruolo ricoperto da istituzioni sovranazionali nel debellare alcune malattie), anche le malattie (e le loro cause) sono in grado di propagarsi rapidamente, perfino in Paesi geograficamente molto distanti dai luoghi di generazione.

Lo abbiamo sperimentato con il covid-19, la prima pandemia del mondo globalizzato: il virus si è spostato in aereo e ha raggiunto in modo relativamente veloce tutti i continenti, grazie alla rapidità e alla frequenza degli scambi tra persone e merci.

Globalizzazione ed uso intensivo del territorio e delle risorse naturali hanno determinato una sempre maggior vicinanza e contaminazione tra società umana e habitat naturali, compromessi dal cambiamento climatico, dall’agricoltura intensiva ed estensiva, dall’estrazione mineraria, dall’inquinamento delle acque e dell’aria, da tutte le forme di rifiuto non riciclabile, dalle concentrazioni umane in realtà urbane per la gran parte prive di adeguati sistemi di smaltimento anche dei reflui organici.

La compromissione della biodiversità e degli habitat ha favorito negli ultimi decenni il salto di specie, il c.d. spillover: il passaggio di virus ospitati da animali all’uomo. In questa catena causale, una volta infettati i primi soggetti umani, il passo successivo è la rapida diffusione del virus perché incontra un ospite privo di qualsiasi difesa immunitaria. Lo stato di salute degli individui, sia a livello del singolo sia della collettività, è quindi strettamente collegato con quello del pianeta.

Il covid-19, l’emergenza climatica e la crescita del rischio di “spillover” rappresentano solo alcune delle minacce emerse negli ultimi tempi, tra cui devono essere annoverate anche la resistenza antimicrobica (fenomeno che si manifesta quando batteri, funghi e parassiti cambiano nel tempo e non rispondono più all’azione dei farmaci, rendendo l’infezione difficile da curare) e l’aumento delle patologie correlate all’inquinamento e al riscaldamento globale. Tutti questi elementi, nella loro interazione, daranno luogo ad epidemie sempre più frequenti oltre che ad ulteriori problematiche di ordine sanitario.

I cambiamenti climatici sono già una realtà, drammaticamente responsabile di decine di migliaia di decessi, e sono causati principalmente dall’uomo: questa la conclusione del 99,9% delle pubblicazioni scientifiche. Un ruolo fondante nel deterioramento del clima è rivestito dalle emissioni di gas serra. Il consumo del suolo, lo sfruttamento delle risorse idriche, la caccia e la pesca, il disboscamento, il riscaldamento globale, l’inquinamento e la diffusione sempre maggiore di specie animali e vegetali invasive sono tutti fattori che contribuiscono a minacciare pericolosamente la biodiversità.

In base all’ultimo rapporto del WWF, esiste un legame strettissimo tra le malattie che stanno terrorizzando il Pianeta e le dimensioni epocali della perdita di natura. Queste non sono catastrofi del tutto casuali, ma la conseguenza indiretta del nostro impatto sugli ecosistemi naturali”.

Oltre all’abbattimento delle foreste, tra le cause antropiche di rapida propagazione del virus è da annoverare anche il pericoloso livello di emissioni presenti nell’aria: il particolato atmosferico, costituito dalle particelle di aerosol presenti nell’aria per cause naturali (sale marino, azione del vento, pollini, eruzioni vulcaniche) e fonti antropiche (traffico, riscaldamento, processi industriali, inceneritori) funzionano da vettore di trasporto per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. Questi ultimi si attaccano a tali particelle mediante un processo di coagulazione, che permette al virus di permanere nell’atmosfera anche per ore, giorni e settimane, e che ne veicola la diffusione e trasporto anche sulle lunghe distanze.

Questo l’esito sconfortante degli studi condotti sui recenti casi virali, come l’influenza aviaria del 2010, che era stata veicolata a lunghe distanze con le tempeste di polveri asiatiche, o i casi di morbillo diffusisi in Lanzhou nel 2020: la diffusione del virus è stata favorita dall’inquinamento dell’aria e dall’incremento del particolato atmosferico.

In Italia, basandosi sui dati provenienti dalle Agenzie regionali per la protezione ambientale, è stata accertata la relazione tra livello di inquinamento e diffusione del coronavirus. Dalle analisi effettuate si è riscontrato che nel periodo tra il 10 e il 29 febbraio 2020 le concentrazioni superiori al limite di Pm10, presenti in alcune province del Nord Italia, avrebbero agito da boost, e quindi da impulso alla diffusione virulenta dell’epidemia; ciò a differenza di altre zone d’Italia in cui non si sarebbero riscontrati fenomeni di analoghe dimensioni.

E le previsioni per il futuro non sono positive: è già stato previsto l’arrivo di un’altra pandemia, che sarebbe addirittura peggiore del covid. Da mesi numerosi centri di ricerca stanno cercando di mettere in guardia governi e scienziati sui nuovi ceppi di influenza aviaria, presenti in numerosi allevamenti di polli. Gli animali vengono, infatti, allevati in ambienti sovraffollati e sono tenuti al riparo dalle malattie ricorrendo a pesanti dosi di antibiotici; ciò al fine di farli crescere rapidamente. In tal modo, tuttavia, si creano le condizioni ideali affinché batteri, virus e agenti patogeni si mescolino, mutino e contagino dapprima gli animali e poi l’uomo.

Nel mondo sono già presenti otto varianti dell’influenza aviaria, considerate più letali del covid. In particolare, in Cina si è diffusa la variante H5N6, che ha già infettato decine di persone. In aggiunta, il ceppo sta mutando e sarebbe estremamente pericoloso.

Anche l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura ha rilevato come i virus dell’influenza aviaria si stanno evolvendo in un pool genetico virale ampio e diversificato: “un agente patogeno può trasformarsi in modo ipervirulento; nelle monocolture che comportano l’allevamento di massa di animali geneticamente identici selezionati per un’elevata conversione alimentare, un patogeno ipervirulento emergente si diffonderà rapidamente all’interno di un gregge o di una mandria”.

La diffusione dei nuovi virus di influenza aviaria sarà senza precedenti e conferma la gravità della rottura del rapporto di convivenza tra uomo e animali.

È evidente che la tutela, o piuttosto la non tutela, dei sistemi naturali esplica conseguenze dirette su tutte le attività umane e in primis sulla nostra salute. E l’inscindibile relazione tra uomo e natura è stata sottolineata anche da Papa Francesco: “Pensavamo di rimanere sani in un mondo malato”. Ma era un’ingenua e forse colpevole illusione.

La maggior parte delle problematiche ambientali sono di natura transfrontaliera, e molte hanno una portata globale. Possono quindi essere affrontate in modo efficace soltanto attraverso la cooperazione internazionale.

Il programma sull’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP – United Nation Environment Program) è oggi la massima autorità mondiale in tema ambientale, ed ha il suo quartier generale a Nairobi, in Kenya. La sua attività è organizzata in 7 aree: cambiamento climatico, disastri e conflitti, gestione degli ecosistemi, governance ambientale, prodotti chimici e rifiuti, ambiente sotto scrutinio.

A fine febbraio 2021 si è tenuta la quinta assemblea dell’UNEP allo scopo di rafforzare le azioni a tutela della natura e per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. La riunione è stata preceduta dalla pubblicazione del rapporto UNEP “Making peace with nature”, pubblicato e commentato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature. Vi si sottolinea l’importanza del metodo integrato con cui sono state affrontate le tematiche ambientali “e nel far questo l’UNEP sta aiutando ad accelerare un metodo di lavoro che dovrebbe assurgere a standard” ovvero l’approccio multidisciplinare. “Se ad es. si dovesse valutare come il cambiamento climatico influisca sulla biodiversità avrebbe senso che questa ricerca venisse svolta da un team congiunto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) e dell’IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Bioviversity and Ecosystem SAervices) e non da ricercatori in una sola di queste organizzazioni”.

Sia l’IPCC sia l’IPBES sono organismi ONU.

Nel rapporto IPCC del 2018 sul riscaldamento globale, si denunciava già che le temperature globali sarebbero aumentate tra il 2030 e il 2050 di 1,5° (soglia critica per la stabilità del clima sul pianeta) rispetto ai livelli della società pre-industriali, con effetti devastanti. Oggi queste stime sono ritenute troppo ottimistiche, e gli scienziati avvertono che nello stesso lasso temporale l’aumento della temperatura potrebbe essere maggiore di almeno un grado e mezzo.

Gli scienziati, in vista della 26° Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico (Cop26), che si terrà a Glasgow il prossimo novembre 2021, sostengono che i tempi sono maturi per aumentare i poteri dell’UNEP, e renderlo più incisivo nella sua azione di controllo sugli Stati nazionali, perché rispettino gli impegni presi in materia ambientale.

Nell’UE è stata istituita l’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) e la rete europea d’informazione e di osservazione in materia ambientale (EIONET). I compiti dell’AEA includono la promozione dell’integrazione delle informazioni ambientali europee nei programmi internazionali di sorveglianza dell’ambiente, la cooperazione con gli organismi e i programmi regionali e internazionali, come l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE), il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) nonché la cooperazione con organismi di paesi terzi.

L’AEA, che già vanta una lunga tradizione di collaborazione con le organizzazioni internazionali e gli organismi dell’ONU (UNEP e Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Europa a livello paneuropeo), dovrà implementate la cooperazione trasversale anzitutto su cambiamento climatico e biodiversità, coinvolgendo i paesi membri e cooperanti dell’AEA nelle nuove piattaforme di valutazione globali dell’ONU.

Dopo l’adozione dell’agenda per lo sviluppo sostenibile del 2030, che comprende gli obiettivi di sviluppo sostenibile occorre, infatti, rendere molto più concreto il quadro per le azioni da intraprendere nell’immediato e nel medio e lungo periodo, e rivedere l’Agenda del 2030 a livello nazionale, regionale e globale.

Tenuto conto che l’Assemblea UNEP ha già approvato la nuova strategia a medio termine per il periodo 2022-2025 definendo il ruolo dell’organizzazione ai fini degli obiettivi dell’Agenda 2030.

La strategia mira a trasformare il modo in cui l’UNEP opera e si impegna con gli Stati membri, le agenzie delle Nazioni Unite, il settore privato, la società civile e i gruppi giovanili, per essere più incisivi, più veloci, più forti“, ha affermato Inger AndersenDirettore esecutivo dell’UNEP . “Questa strategia mira a fornire scienza e know-how ai governi. La strategia riguarda anche l’azione collettiva dell’intera società, spostandoci al di fuori dei ministeri dell’ambiente per guidare l’azione“.

La strada della cooperazione e dell’allineamento degli Stati nazionali sulle politiche ambientali non sarà semplice, nonostante l’urgenza.

In base alla prima valutazione delle leggi e dei regolamenti sulla qualità dell’aria da parte del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), ad esempio, un terzo dei paesi del mondo non ha standard di qualità dell’aria esterna obbligatori per legge. e dove tali leggi esistono, gli standard variano di molto e spesso non combaciano con le linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Almeno il 31% dei paesi che hanno la possibilità di introdurre tali standard deve ancora adottarli

Come detto, l’inquinamento atmosferico è stato identificato dall’OMS come il più grande rischio per la salute ambientale, con il 92% della popolazione mondiale che vive in luoghi in cui i livelli di inquinamento atmosferico superano i limiti di sicurezza, colpendo in modo sproporzionato donne, bambini e anziani nei paesi a basso reddito. L’OMS ha presentato una serie di valori guida per la qualità dell’aria esterna , ma non esiste un allineamento globale e un quadro giuridico comune per applicarli. 

Inoltre, è molto debole a livello globale la responsabilità istituzionale per il raggiungimento degli standard: solo il 33% dei paesi impone obblighi per soddisfare gli standard previsti dalla legge. Il monitoraggio è fondamentale per sapere se gli standard vengono raggiunti, ma non è legalmente richiesto in almeno il 37% dei paesi. Infine, sebbene l’inquinamento atmosferico non conosca frontiere, solo il 31% dei paesi dispone di meccanismi legali per affrontare l’inquinamento atmosferico transfrontaliero.

Dobbiamo “prevenire sette milioni di morti premature causate dall’inquinamento atmosferico ogni anno, un numero destinato a crescere di oltre il 50% entro il 2050“, ha affermato Inger Andersen, direttore esecutivo dell’UNEP. “L’aria che respiriamo è un bene pubblico fondamentale e i governi devono fare di più per garantire che sia pulita e sicura“.

Il diritto ad un ambiente sano, che include l’aria pulita, fa parte del progetto presentato all’interno dell’Agenda 2030 e degli obiettivi di sviluppo sostenibile su buona salute, energia pulita e accessibile, città sostenibili, produzione responsabile e vita sulla terra (OSS 3, 7, 11, 12, e 15). 

Ma “anche i più ammirevoli obiettivi nazionali di qualità dell’aria devono essere sostenuti con solidi quadri istituzionali, capacità di attuazione e leggi ben coordinate, se vogliono essere efficaci“.

A seguito di questa valutazione, l’UNEP sta sviluppando una guida pratica nell’ambito del Programma di diritto ambientale di Montevideo, per espandere la propria assistenza ai Paesi nell’affrontare la crisi dell’inquinamento atmosferico. È inoltre previsto il supporto tecnico diretto per lo sviluppo e l’attuazione di quadri legali specifici, e capacità complementari per le parti interessate, inclusi giudici, pubblici ministeri e altri funzionari.

In conclusione le riflessioni dell’UNEP hanno individuato tre gravi emergenze ambientali della Terra tra loro intimamente interconnesse: cambiamenti climatici, perdita di biodiversità e inquinamento.

Il mondo può affrontare insieme queste tre crisi ma serve un'azione urgente da parte dell'intera società” (Inger Andersen). 

Queste tre crisi planetarie mettono a rischio il benessere delle generazioni attuali e future. Serve un cambio di rotta importante ed immediato ed un’azione ambiziosa e coordinata da parte di governi, imprese e cittadini, per invertire immediatamente gli effetti del declino ambientale.

Occorre trasformare rapidamente i sistemi chiave del nostro pianeta: energia, acqua e cibo, in modo da utilizzare le risorse in maniera sostenibile. Trasformare i sistemi sociali ed economici significa migliorare il nostro rapporto con la natura, comprenderne il valore e metterlo al centro del processo decisionale.

Negli ultimi 50 anni, l'economia globale è cresciuta di quasi cinque volte, l’estrazione di risorse naturali si è triplicata, la popolazione mondiale è aumentata di due volte, arrivando a 7,8 miliardi di persone e, nonostante la prosperità sia raddoppiata, circa 1,3 miliardi di persone rimangono povere e circa 700 milioni soffrono la fame.

Dal punto di vista ambientale, la Terra si sta dirigendo verso un aumento del riscaldamento globale di almeno 3° C al di sopra dei livelli preindustriali entro il 2100. Nessuno degli obiettivi globali per la protezione della vita sulla Terra e per arrestarne il degrado è stato raggiunto.

La deforestazione e la pesca eccessiva continuano, e un milione di specie tra piante e animali rischia l’estinzione. Il declino ambientale sta erodendo i progressi verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, onere che ricade soprattutto sulle popolazioni più povere e vulnerabili.

Il cambiamento climatico minaccia i progressi su molti SDGs: sconfiggere la povertà (Goal 1), sconfiggere la fame (Goal 2), acqua pulita e servizi igienico-sanitari (Goal 6), ridurre le disuguaglianze (Goal 10), lavoro dignitoso e crescita economica (Goal 8), pace, giustizia e istituzioni solide (Goal 16).

Le tre emergenze ambientali, come detto, devono essere affrontate insieme.

Per raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi, sono necessari impegni nazionali sul clima più ambiziosi e rapide trasformazioni in settori fondamentali come i sistemi energetici, l'uso del suolo, l'agricoltura, la protezione delle foreste, lo sviluppo urbano, le infrastrutture e gli stili di vita. Limitare il riscaldamento globale, riducendo rapidamente le emissioni di gas serra, rende più facile ed economico adattarsi ai cambiamenti climatici e mette al sicuro i progressi verso gli SDGs.

La perdita di biodiversità può essere arrestata e invertita espandendo le aree protette, fornendo spazio alla natura, migliorando l’uso della terra e del mare, evitando lo sfruttamento eccessivo delle risorse. Questi cambiamenti implicano una radicale trasformazione nell'organizzazione economica e sociale della società, a livello di norme, valori e governance. I grandi cambiamenti nelle politiche, nelle regolamentazioni, negli incentivi e negli investimenti sono fondamentali per assicurare trasformazioni giuste e consapevoli. Mezzi di sussistenza alternativi e nuovi modelli di business sono la chiave per raggiungere rapidamente la sostenibilità.

I governi dovrebbero includere il capitale naturale nelle misurazioni della performance economica, dare un prezzo al carbonio, eliminare gradualmente i sussidi verso i combustibili fossili e reindirizzare i proventi verso soluzioni a basse emissioni di carbonio. D’altra parte, i Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di maggiore sostegno per affrontare le sfide ambientali, compreso l'accesso a finanziamenti con bassi tassi d’interesse e il supporto nella revisione dei propri sistemi contabili e delle strutture politiche.

Governi, imprese e cittadini hanno un ruolo da svolgere nella trasformazione verso un futuro sostenibile: gli individui possono facilitare la trasformazione approfondendo il tema della sostenibilità, cambiando diete e abitudini di viaggio, non sprecando cibo e risorse e riducendo il loro consumo di acqua ed energia. Allo stesso tempo, i governi, attraverso la cooperazione internazionale, la politica e le leggi, possono guidare la trasformazione della società e dell’economia.

Da tutto questo dipende la sopravvivenza umana su questo pianeta, e la salute di ogni specie vivente: più che i vaccini ci proteggeranno dalle prossime pandemie la tutela della biodiversità e il rispetto degli ecosistemi. (Paolo Vineis).

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