Patrocinio a spese dello stato accessibile per gli stranieri senza necessità di attestazione del paese d’origine

Con la sentenza n.157 del 10.6.21 2021 la Corte Costituzionale ha sancito la possibilità per i cittadini di un Paese non membro dell’Unione Europea di accedere al patrocinio a spese dello Stato, anche qualora non siano in possesso della certificazione rilasciata dall’autorità consolare competente e attestante i  redditi prodotti all’estero , purchè dimostrino di essersi attivati con diligenza e correttezza per ottenere tale documentazione . In questo caso è sufficiente che presentino una dichiarazione sostitutiva di tale documentazione.

La Corte, così statuendo, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 79, comma 2 del D.P.R. n.115 del 2002, nella parte in cui non prevede che, nei casi di impossibile produzione dell’attestazione consolare, i cittadini di Stati non aderenti all’Unione Europea possano produrre “forme sostitutive di certificazione, in analogia agli istituti previsti dall’ordinamento nazionale”, qualora dimostrino di aver fatto tutto il possibile secondo l’ordinaria diligenza per ottenere l’attestazione consolare.

Il caso specifico riguarda due cittadini di uno Stato non membro dell’Unione Europea ai quali è stato negato il beneficio del gratuito Patrocinio a spese dello Stato poiché l’Ambasciata ed il Consolato indiano in Italia non avevano dato riscontro alla loro richiesta di certificare la mancanza di redditi all’estero.

Il Tar del Piemonte ha quindi sollevato la questione di legittimità costituzionale, dal momento che, se l’esclusione dal patrocinio a spese dello Stato di uno straniero, non abbiente, cittadino di un Paese non aderente all’UE venisse fatta dipendere dall’inerzia di un soggetto pubblico terzo, non sopperibile con gli Istituti di semplificazione amministrativa e decertificazione documentale previsti per i cittadini italiani e dell’Unione Europea, si creerebbe un irragionevole vulnus al principio di eguaglianza nell’accesso alla tutela giurisdizionale e si lederebbero i principi sanciti dagli articoli 3, 24, 113 e 117 della Costituzione.  

Invero, verrebbe privato di effettività l’art.24 Cost., che, al terzo comma, richiede, invece, di assicurare ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi, al fine di salvaguardare la pienezza del diritto alla tutela giurisdizionale consacrato nel suo primo comma.

Ancora, verrebbe violato anche l’articolo 3 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza in quanto l’art. 79, comma 2 t.u., in contrasto “con un naturale principio di auto-responsabilità”, non prevede “un meccanismo alternativo che consenta al richiedente di prescindere dalla mancata collaborazione delle proprie Autorità consolari”, addossandogli, così, le conseguenze sfavorevoli di un comportamento a lui non ascrivibile.

Parimenti, verrebbe leso anche l’art. 113 Costituzione, secondo il quale “è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti della pubblica amministrazione”. L’effettività di questa tutela si fonda infatti sulla concreta accessibilità, su un piano di eguaglianza sostanziale per tutti, non tollerando discriminazioni di alcun tipo fondate sullo status di cittadino.

Il diritto all’accesso effettivo alla giustizia per i meno abbienti trova infine, protezione anche nell’articolo 117 della Costituzione, con riferimento all’art. 47 CDFUE, la quale prevede che: “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso un patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso alla giustizia”.

Tale irragionevole disparità di trattamento tra i cittadini dei Paesi non aderenti all’Unione Europea, sarebbe risolvibile, secondo il giudice a quibus, apportando un correttivo alla norma censurata, ovvero, inserendo la previsione di forme sostitutive di certificazione, a soddisfazione dell’onere documentale richiesto per l’accesso al gratuito patrocinio, in analogia con gli istituti previsti dall’ordinamento nazionale nei casi di impossibilità e dando prova (da parte del richiedente) di aver compiuto tutto il possibile per procurarsi l’attestazione consolare richiesta.

La Corte ha ritenuto infondate le doglianze proposte dall’Avvocatura generale a difesa del Presidente del Consiglio e ha quindi considerato meritevole di accoglimento la richiesta del rimettente di una pronuncia additiva, volta ad evitare il contrasto con il principio di autoresponsabilità, attraverso l’aggiunta di una previsione integrativa all’onere probatorio, che già trova riscontro nella disciplina dettata in materia penale dall’art. 94, comma 2 t.u. spese di giustizia.

Infatti, nonostante le scelte adottate dal legislatore in materia di gratuito patrocinio siano caratterizzate da una forte discrezionalità, la Corte ha ritenuto che tale circostanza non possa in ogni caso sottrarre la normativa in esame al giudizio di legittimità costituzionale, soprattutto in presenza di una manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte adottate. La Corte Costituzionale ha rinvenuto proprio nell’ordinamento precisi punti di riferimento per svolgere un intervento additivo della norma censurata, sia nell’art. 94, comma 2 t.u. spese di giustizia, sia nell’art. 16 del D.Lgs. n.25 del 28 gennaio 2008 che richiama espressamente il citato articolo 94.

Tuttavia, se da un lato, il t.u. in materia di spese di giustizia, con riferimento al gratuito patrocinio a spese dello Stato prevede nei processi civile, amministrativo, tributario e contabile un’equiparazione al trattamento previsto per il cittadino italiano di quello relativo allo straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale, al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare, l’art. 79, comma 2 del medesimo t.u. stabilisce che, per i soli cittadini di Paesi non membri dell’Unione Europea, i redditi prodotti all’estero debbano essere certificati dall’autorità consolare competente che ne attesti la veridicità, senza tuttavia, prevedere alcun rimedio all’eventuale condotta non collaborativa dell’autorità e dunque all’impossibilità (non dipesa dal richiedente) di produrre la relativa certificazione.  Viceversa, nella disciplina del gratuito patrocinio in ambito penale, l’art. 94, comma 2 t.u. spese di giustizia, prevede che, in caso di impossibilità di produrre la documentazione richiesta dall’art. 79, comma 2, il cittadino di Stati non appartenenti all’Unione Europea, a pena di inammissibilità, produca una dichiarazione sostitutiva di certificazione.

Appare dunque evidente la manifesta irragionevolezza della norma censurata per il fatto di non prevedere un meccanismo che - come l’art. 94, comma 2 t.u. stabilisce per il processo penale - consenta di reagire alla mancata collaborazione dell’autorità consolare, così bilanciando la necessità di richiedere un più rigoroso controllo dei redditi prodotti in Paesi non aderenti all’Unione Europea, con l’esigenza di non addebitare – e quindi far gravare – sullo stesso richiedente comportamenti negligenti dell’autorità consolare.

A tal proposito corre l’obbligo di precisare che, l’istituto del gratuito patrocinio, se da una parte serve a rimuovere le difficoltà di ordine economico che possono opporsi al concreto esercizio del diritto di difesa, assicurando così a tutti il diritto di difendersi in giudizio – diritto che il secondo comma dell’art. 24 della Costituzione qualifica come un diritto inviolabile – dall’altra, la natura inviolabile del diritto di difesa non lo sottrae al bilanciamento di interessi che, a causa della scarsità di risorse, si rende necessario rispetto alla molteplicità dei diritti che ambiscono alla medesima tutela. Per tale ragione, in tutti i processi diversi da quello penale, per il riconoscimento del beneficio del gratuito patrocinio, è necessario che le ragioni di chi agisce o resiste non risultino manifestamente infondate.  Tuttavia, secondo la Corte Costituzionale, benchè la distinzione tra il processo penale e gli altri processi possa giustificare delle differenziazioni in materia di gratuito patrocinio, alla luce delle diverse caratteristiche ed implicazioni, tali differenze non possono però legittimare la mancata previsione di un correttivo nell’art. 79, comma 2 t.u. in grado di superare l’ostacolo creato dalla condotta omissiva o non collaborativa dell’autorità consolare.

Di conseguenza, la Corte ha ricostruito l’art. 79, comma 2 t.u. spese di giustizia, in materia di gratuito patrocinio civile, amministrativo, tributario e contabile, integrando la previsione sull’onere probatorio con la possibilità per l’istante di produrre, a pena di inammissibilità, una dichiarazione sostitutiva di certificazione dei redditi prodotti all’estero, una volta dimostrata l’impossibilità (relativa e non per sua colpa) di procurarsi la certificazione richiesta.

Così pronunciandosi, la Corte ha uniformato la disciplina sul patrocino a spese dello Stato, per quanto concerne la certificazione dei redditi, nei processi civile, amministrativo, contabile e tributario a quanto richiesto dal principio di autoresponsabilità e a quanto già previsto per il processo penale, non essendoci, sotto il profilo in esame, alcuna ragione di differenziarli.

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